Lukács e il nostro secolo

«Il Contemporaneo-Rinascita», n. 31, 30 luglio 1971.cont

György Lukács durante una conferenza tenuta a Milano

György Lukács durante una conferenza tenuta a Milano

Lukács e il nostro secolo

Dedichiamo questo numero ad una serie di contributi di riflessione sulla figura e l’opera del filosofo e militante comunista ungherese György Lukács, scomparso il 4 dello scorso giugno a Budapest ad ottantasei anni di età. La nostra intenzione è – come sempre – non di esaurire un argomento, ma di riaprire una discussione partendo dalle premesse maturate negli ultimi anni, e di sollecitare un aperto confronto tra quanti si richiamano al marxismo sui temi teorici più cruciali. Non è da oggi, infatti, che la presenza di Lukács nel dibattito teorico, in Italia e più in generale in Europa, appare determinante; e non sarà – questo è il nostro pensiero – la sua morte ad offuscare questa presenza, a relegare i suoi contributi, sparsi sull’arco di sessantanni (e quali sessantanni) di storia e di lotte, nel campo del già vissuto, del superato. Non vi è dubbio che egli sia stato in questo lungo lasso di tempo uno dei punti di riferimento decisivi del pensiero marxista, non fosse altro che perché egli aveva scelto di essere, nel campo del socialismo, l’erede della cultura più avanzata della borghesia europea; e reciprocamente nel campo della cultura, della battaglia ideale, il militante comunista prestigioso, l’uomo che fino all’ultimo respiro della sua vita ha saputo porre a sé e agli altri l’obiettivo di un «rinascimento» del marxismo.
Questa – si può pensare – è la sua ambiguità, ma è, senza dubbio, anche la sua grandezza. Altri più di lui ha forse saputo – in questa epoca grande e tragica di guerre, di rivoluzioni, di trasformazioni del mondo – arricchire la propria ricerca teorica di motivi più proiettati nel futuro; pochi, certo, condurre tanto a fondo un confronto con la passata civiltà dell’uomo perché essa possa essere nutrimento e ricchezza del suo futuro.
Tutto ciò ha comportato nella sua vicenda umana smarrimenti ed errori di fronte al drammatico incalzare degli avvenimenti storici; scoperte folgoranti e destinate a restare, e arretramenti, rinunce, amarezze. Mai comunque, cedimenti. Commissario del popolo nella repubblica ungherese dei consigli con Béla Kun, esule a Vienna e Berlino, poi a Mosca dopo l’avvento del nazismo, Lukács ha vissuto da protagonista tutti i grandi eventi del nostro tempo. Rientrato in patria alla liberazione, combatté dalla cattedra, nelle associazioni culturali, nel partito, le nuove dure battaglie dell’edificazione del socialismo, in condizioni sempre più difficili. Nel tragico ’56, che lo aveva visto schierato contro le deformazioni dogmatiche di Rakosi e per un nuovo volto del socialismo, fu membro del governo Nagy. Deportato e rientrato in patria dopo alcuni mesi, ha trascorso gli ultimi quindici anni della sua vita in una operosa vecchiaia, intervenendo in tutti i grandi dibattiti teorici e culturali che agitavano il mondo socialista e il marxismo europeo. Ne sono testimonianza decine di articoli e di interviste, molte delle quali i lettori di questa rivista hanno potuto leggere; alcune davvero memorabili come quella sul Marxismo e la coesistenza (Il Contemporaneo, maggio 1968). Rientrò nel partito ungherese nel 1967; un gesto che sorprese solo chi non aveva compreso il carattere militante di tutta la sua opera.
Questa la parabola umana di Lukács. Ma il discorso sulla sua opera è ancora del tutto aperto, come lo ha lasciato lui. Aveva lavorato negli ultimi anni alla grande summa dell’Estetica, poi a una – non terminata e forse non terminabile – Ontologia marxista; ma tra le sue carte vi sono, a quanto si sa, anche le pagine di una Autobiografia che dovrebbe rivestire straordinario interesse. Adesso tocca agli studiosi, e soprattutto ai giovani, dei quali egli seppe capire come pochi anche i nuovi fermenti, misurarsi coi suoi testi, capirne le luci e le ombre. Combattere anche con loro, superarli. Ma fare i conti con tutto ciò che egli ha saputo, nell’arco di una degna e operosa vita, rappresentare per il movimento operaio e per la cultura europea.

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