di Marco Gatto
«il manifesto» 13 luglio 2013.
Da poco rientrato nel Partito ungherese di ispirazione socialista dopo una lunga pausa politica, nel 1968 il massimo rappresentate del cosiddetto marxismo occidentale, György Lukács, stava lavorando alla ciclopica stesura dell’Ontologia dell’essere sociale : circa due migliaia di pagine che, nell’intenzione dell’autore, dovevano rimettere in gioco le sorti del marxismo, sganciandolo dalle paludi dello stalinismo e dall’integrazione forzata (la famosa «coesistenza») con il capitalismo liberale.
Di fronte a questa sfida impegnativa, Lukács non si sottrae a riflettere su temi di immediato interesse politico: dei movimenti giovanili critica il cedimento all’ideologia consumistica e l’incapacità di elaborare una prospettiva politica di stampo socialista; di pari passo, intravede, con l’avanzata del capitalismo, un modificarsi delle nozioni di libertà e democrazia. Ed è proprio su quest’ultimo punto che, cogliendo l’opportunità offerta dalla commissione di una rivista occidentale, Lukács riflette in uno scritto sino ad oggi ritenuto quasi sconosciuto e ora pubblicato col titolo La democrazia della vita quotidiana (manifestolibri, pp. 160, euro 22), per la cura puntuale di Alberto Scarponi.
Le vicissitudini editoriali del testo hanno una natura politica: il filosofo, ultimata la stesura, non propose il saggio al suo consueto editore tedesco, bensì agli italiani Editori Riuniti, per ragioni che riguardano, si presume, le decise prese di posizione sullo stalinismo che emergono dallo scritto. L’Italia doveva apparire a Lukács una sede più consona a un ragionamento politicamente più avvertito, e il richiamo alle critiche che Togliatti aveva rivolto al «culto della personalità», ripreso nel testo, suona come una dichiarazione di prossimità politica.
Ad ogni modo, il testo non venne pubblicato: un’edizione critica in tedesco, quasi immediatamente sparita dalle librerie nel giro di una settimana, venne data alle stampe solo nel 1985. Le ragioni di questo oblio risiedono nel cuore del ragionamento che sta alla base del testo lukacsiano: è necessario si apra una via marxista differente, capace di prendere le distanze sia dalla formalizzazione burocratizzante di matrice stalinista sia dalla democrazia borghese e capitalistica, dal momento che l’una e l’altra sviano dall’esito reale di una politica socialista, ossia la costruzione di un’umanità in cui il rapporto sociale sia inteso quale garanzia condivisa di realizzazione personale.
La democrazia, in tal senso, non diviene l’insieme delle regole che tiene insieme cittadini e istituzioni, bensì, come sottolinea Scarponi nelle pagine introduttive, «il rapporto attivo del singolo con l’intera società in cui vive», rapporto che, per il Lukács della prospettiva ontologica in chiave di filosofia della storia, si modifica di pari passo con il mutarsi del sistema economico e sociale.
E tale relazione, sempre processuale e mai strutturalmente fissa, tra individui e democrazia si lega dunque alle modalità con cui il diventare-uomini viene articolato dal sistema economico: se nel capitalismo il processo di umanizzazione risponde alla regola economicistica per cui l’altro è il limite della mia stessa libertà, nel socialismo – quale processo di democratizzazione radicale della vita quotidiana – l’altro uomo è, nella sua esistenza, la realizzazione della mia stessa libertà.
E, pertanto, fuori dalle logiche personalistiche dello stalinismo e fuori dalla falsa individualizzazione promossa dal capitalismo consumista e borghese, nella visione socialista ogni individuo, trovando nell’altro la sua realizzazione, è chiamato a rappresentare, nella concretezza del suo essere-sociale, nel suo «essere-proprio-così» (secondo la categoria utilizzata da Lukács, e non dunque nella sua astratta essenza, come vorrebbe Feuerbach), la totalità della specie umana.
La strada verso la democratizzazione radicale passa, per l’autore di Storia e coscienza di classe , da una riconsiderazione dell’intera dialettica sociale, e dunque da una rilettura dei moduli teorici del marxismo, a partire da un’iniezione di autocritica che favorisca la mobilitazione dell’opinione pubblica e che sappia legarsi a una prospettiva politica fondata su certezze, dunque incapace di ricadere nelle limitazioni della protesta e al contrario volta a rimettere al centro la relazione umana come pratica di libertà.