di György Lukács
da Lukács parla. Interviste (1963-1971), a cura di A. Infranca, Edizioni Punto Rosso, Milano 2019.
Pubblicata in lingua originale, cioè tedesco, in Futurum, n° 4, 1970, pp. 495-506. Gli intervistatori sono Ferenc Jánossy, Mária Holló Jánossy, Jutta Matzner. L’intervista è stata concessa nel settembre 1969.
Venne pubblicata una versione in inglese in The New Hungarian Quarterly, no. 47 (vol. 13, Autumn 1972), pp. 101-107.
L’intervista è stata pubblicata in Italia per la prima volta in «Carte segrete», n. 21, 1973, col titolo Utopia e logica – Critica del futuro.
La versione che qui si presenta è tratta da Lukács parla, in cui però non si specifica se la traduzione sia nuova o se sia ripresa dalla rivista «Carte segrete». Crediamo tuttavia che la traduzione sia fatta (purtroppo malamente) dalla versione inglese. In parentesi quadre i nostri suggerimenti per la comprensione.
Lukács – Non c’è nessuna pratica umana che non riguardi la regolazione del futuro a partire dall’esperienza del presente. Se, come un estraneo, guardo la futurologia, ho la curiosa impressione che si sta facendo un tentativo per rendere scienza qualcosa che è stata parte della prassi umana da molto tempo prima. L’antichissimo allevatore, che accoppia questa vacca con quel toro, sta conducendo un esperimento futurologico; basandosi sulle precedenti esperienze, accarezza la speranza che un toro con tali qualità avrà migliore discendenza che un toro con altre qualità. La questione qui è a cosa estendere esperienze che sono primarie, esperienze che non possono essere escluse da qualsiasi pratica, che possono essere chiamate scienza. La geometria era originalmente una somma di esperienze dell’uomo che costruiva capanne o cose simili. Da questo si è sviluppata gradualmente una scienza reale. La questione, allora, è fino a quale alto livello scientifico è possibile sollevare la preparazione intenzionale e organizzata per il futuro. A una certa estensione questo non è senza dubbio possibile, innanzitutto dove statisticamente ci sono nella società tendenze registrabili. C’è, per esempio, una forma quasi-scientifica di futurologia capitalistica: il sistema di assicurazione. L’assicurazione – per esempio le assicurazioni sulla vita, sulle navi, sui raccolti – è il tentativo di registrare una tendenza statistica, di formulare medie matematiche e di conseguenza dare alla gente una garanzia sul futuro? In questo caso il capitalismo ha una futurologia molto estesa nel campo puramente economico.
Jánossy – Ma questa è soltanto la futurologia dell’estrapolazione.
Lukács – Sì, questa è la futurologia dell’estrapolazione e di conseguenza è possibile solo per relazioni di ricchezza. Non ci può essere, di conseguenza, nessuna assicurazione sulle emozioni di una moglie nel caso della morte del marito. Il modo in cui la moglie reagirà umanamente alla morte del marito è completamente fuori dal concetto di assicurazione. Ho scelto la scienza dell’assicurazione, perché i calcoli e le estrapolazioni matematiche sono parte di essa. Il nostro tempo è un periodo in cui tali estrapolazioni fioriscono a causa della tecnologia avanzata e della conseguente matematizzazione di molti campi.
Qui noi abbiamo bisogno di un nuovo esame critico: tali tendenze a quale estensione non possono essere affatto estrapolate? [o “fino a che punto tali tendenze possono essere estrapolate?”] Proprio nella nostra attuale società si può vedere a quale piccola estrapolazione è possibile e quanto grandi siano le possibilità che sorga qualcosa di assolutamente nuovo. Mi riferisco qui all’esempio che nel corso del XIX secolo, mediante la moltiplicazione e l’incremento della tecnicizzazione degli eserciti, la competizione sorse tra questi ultimi e ogni comando generale tentò di stabilire, mediante estrapolazioni, quanto forte, per esempio, fosse l’artiglieria inglese nel 1880. L’equipaggiamento dell’artiglieria tedesca fu considerevolmente determinato da un’estrapolazione di quanto forte fosse l’artiglieria inglese in dieci o venti anni. Adesso la possibilità di una guerra nucleare ha messo fine a questa intera struttura predittiva.
Ciò ha posto problemi completamente nuovi. Le vecchie estrapolazioni hanno perduto il loro valore. Se si desidera parlare di una scienza della futurologia, è necessario rilevare fin dall’inizio [o meno letteralmente “dare importanza a”] una futurologia che sia straordinariamente autocritica, perché una mutazione in qualcosa che è molto [o “esattamente”] all’opposto è sempre possibile, dovuto proprio alla tecnologia altamente sviluppata. Vorrei dire che una forma piuttosto ristretta di sviluppo scientifico del futuro è qui possibile: e che in contrasto alle tendenze in corso oggi, un peso molto più grande è dato alla somma e alla discussione di esperienze umane che alla semplice estrapolazione. Ciò che molte scienze proclamano, cioè che l’esperienza umana è esclusa dalla prassi umana, non è vero. Vorrei dire che anche quei fenomeni razionali e altamente capitalistici, per esempio, il dominio su larga scala del mercato sull’industria, sono assolutamente impossibili senza appellarsi all’esperienza umana. Perciò è inimmaginabile che sia possibile o predicibile, sulla base della semplice estrapolazione, che le [o “quali”] merci possano avere un più alto movimento [ o “fatturato”] in futuro.
Jánossy – Mi piacerebbe interloquire su questo campo: se partiamo da una futurologia critica, se si desidera cambiare le cose, possiamo interpretare anche le opere di Marx in un doppio senso? Non sto pensando qui all’estrapolazione matematica, ma a un’estrapolazione dalle leggi del capitalismo. Per esempio in quale direzione conducono le leggi della riproduzione, del tasso medio del profitto, della concorrenza?
In un altro senso, sto pensando alla futurologia critica. Si deve indicare, anche se soltanto su ampie linee, cosa dovrebbe essere cambiato nella società affinché essa non si scavi la sua stessa fossa. Sono dell’opinione che nelle opere di Marx entrambi gli elementi siano inclusi e interconnessi. Una futurologia che provveda alla fondazione di un cambiamento cosciente può essere costruita a partire dall’estrapolazione delle leggi del capitalismo.
Lukács – Non contesto che la prassi umana deve sempre prendere in considerazione l’abitudine di predire il futuro. Ciò va completamente oltre il dibattito [o “è fuori discussione”]. Ciò di cui si può dibattere è se la futurologia è una scienza nuova e indipendente. Marx riconobbe che si trova una scienza soltanto post festum. Per lui l’anatomia dell’uomo era la chiave dell’anatomia della scimmia. Possiamo seguire processi che hanno avuto il loro corso e post festum possiamo riconoscere non soltanto i fatti dei processi, ma anche le leggi che li hanno governati. Sto adesso ponendo una questione che era stata già sollevata da Marx: con quale estensione [o “fino a che punto”] queste leggi possono essere applicate al futuro? Per quanto possa giudicare nel caso di Marx, egli fece una chiara distinzione tra due cose. Marx è sempre stato rimproverato di avere scritto approssimativamente dieci o venti volumi sull’economia del passato e contemporanea, mentre tutto ciò che egli scrisse del socialismo riempirebbe soltanto dieci pagine di un libro. Nella mia visione ciò non è una coincidenza. È possibile riconoscere certe tendenze, ma solo abbastanza generali, a partire dalla struttura fondamentale del capitalismo e queste rendono possibile il superamento del capitalismo.
Per esempio, la pienezza di senso del lavoro umano è qualcosa che è opposto al capitalismo e la questione è sollevata da Marx in tutti i problemi che si riferiscono al socialismo. Ma non troverai mai una parola nelle opere di Marx su quali concrete azioni dobbiamo porre in atto per rendere pieno di senso il lavoro. Marx sostiene soltanto che un’alta produttività del lavoro è necessaria per raggiungere un tale cambiamento. Ma non c’è in nessun luogo neanche il più debole accenno di cosa è inteso con questa “alta produttività”; quanto “alta” debba essere. In Marx non troviamo altro che una generalizzazione sull’esperienza umana, così che saremo capaci di trarre dallo sviluppo osservato post festum, con grandissima cautela e con osservazioni molto critiche, conclusioni per il futuro – conclusioni per tendenze abbastanza certe di cui sono stati scoperti i fondamenti economici. Prenderò un esempio da Marx, il tasso medio di profitto. Marx dedusse dalla storia del passato e dell’allora presente, che il tasso medio di profitto potrebbe soltanto verificarsi quando il capitale può passare da un campo all’altro [o “settore produttivo”]. È ovvio che agli inizi del capitalismo questo movimento era impossibile e non c’era, di conseguenza, nessun tasso medio di profitto. Se adesso desideriamo trarre conclusioni per il futuro, devo indagare se la natura delle tendenze dello sviluppo capitalistico è tale che il movimento del capitale da un campo all’altro diventerà più facile o più difficile? Se questa attività sarà resa più difficile, e la rigida aderenza del capitale che agisce in certi campi è tale che nessun tasso medio di profitto si svilupperà. Marx non ha mai detto che lo sviluppo del capitalismo ha creato il tasso medio di profitto per l’eternità, ma ha dimostrato soltanto le sue condizioni economiche.
Ciò che è chiamata futurologia oggi è un elemento necessario di ogni scienza e prassi umana. Ma non penso che queste ricerche, che riguardano varie scienze, possano essere considerate, a sua volta, una scienza uniforme. [“Non”] Esiste una futurologia uniforme, nel senso che noi possiamo parlare di matematica, di geometria, di fisica o di economia uniformi. In ogni scienza sociale c’è un elemento futurologico che corrisponde alle leggi di sviluppo di quella scienza. Questo elemento futurologico è dato con grande enfasi oggi, perché, da un lato, nei paesi socialisti, un’economia pianificata presuppone materialmente momenti futurologici; dall’altro, – in ciò sarei d’accordo con Galbraith – l’attuale economia capitalistica deve essere compresa e riconosciuta come un rinforzante [o “ritorno al”] del dominio del mercato come è esistito nel XIX secolo e che era una sorta di economia pianificata dalla manipolazione del mercato. Ciò significa che gli elementi futurologici sono attualmente in crescita nella prassi economica. Fa una grande differenza se riconosco ed esamino la partecipazione degli elementi futurologici in ogni scienza, o se seleziono soltanto certi elementi e con essi costituisco una scienza indipendente. È chiaro che la matematica gioca un grande ruolo, come si è detto, in ogni scienza. Non di meno ci sono leggi puramente matematiche, che sono indipendenti dal fatto che si stia applicando la matematica all’economia, alla fisica o alla chimica. La questione adesso è se ci sono tali tesi futurologiche – [o “esistono – e possono esistere – tesi futurologiche” (visto l’interrogativa diretta…)] che possono essere applicate allo stesso modo all’economia e all’astronomia, e fuori da ciò quale scienza indipendente si può sviluppare? Nella mia concezione, la questione [o “questa domanda”] è una premessa metodologica per considerare la futurologia come scienza [o “per giungere a una futurologia come scienza”].
Mária Holló Jánossy – La futurologia non è vista dai suoi stessi membri come una disciplina scientifica indipendente, ma come una metodologia interdisciplinare. Ma non sarebbe possibile, proprio come con la storia, che ha opere anche con una varietà di metodi differenti, parlare della scienza della “storia del futuro” senza esigere, come alcuni futurologi fanno, che la futurologia abbia la propria metodologia?
Lukács – Qui c’è, non di meno, una grande differenza. Ogni storia – qualunque consideriamo, sia essa dell’astronomia o della geologia o qualunque altra – ha una concreta fondazione. Se la considero dall’aspetto [“dal punto di vista”] marxista, la storia significa il dominio dell’irreversibilità dei processi. Tutte quelle teorie della storia del XIX secolo, per esempio quelle di Dilthey o di Rickert, che riducono la storia alla storia umana, fanno nascere l’irrazionalità contrapponendo meccanicamente la natura “razionale” alla storia umana “irrazionale”. È allora necessario combinare storia con la coscienza della storia. Ma condivido la concezione di Marx che la geologia o il darwinismo devono essere considerati anche come una scienza della storia, sebbene non ci sia, per esempio, a sua volta coscienza nella geologia.
Se desidero sintetizzare gli elementi futurologici delle più diverse scienze, posso, infatti, prendere soltanto il concetto completamente generale – ci sarà un futuro – come fondamento. Su quali fatti dell’essere – il che è lo stesso in astronomia e in storia della letteratura – si può realizzare la futurologia? Essendo nel tempo, non possiamo scoprire un tale principio generale dell’essere del futuro; soltanto – e questi esseri ci riportano alla storia – il futuro sarà, per quanto l’uomo possa prevedere, irreversibile in ogni campo proprio come il passato. Nella misura [“in cui”] il futuro si modifica nel passato, sarà chiaro che è una continuazione dell’irreversibilità del processo. Di conseguenza mi pongo nel punto di vista [o“rimango dell’idea”] che non ci può essere nessuna singola scienza che non contenga momenti di futurologia. Soltanto dubito che siamo capaci di separare matematica o geometria o epistemologia o logica in singole discipline, sarebbe possibile creare una tale scienza indipendente della futurologia.
Jutta Matzner – Questa è una questione del suo oggetto, cioè la questione che il campo del suo oggetto non può essere esattamente definito.
Lukács – Sì, la futurologia è sempre legata all’oggetto concreto e di conseguenza alla storicità, all’irreversibilità di quel campo di cui desideriamo trattare. Questo campo può, naturalmente, essere l’intera società. Non contesto ciò. Prendiamo, per esempio, l’astronomia: fin dall’inizio era fatta occupandosi [o “fin dalle sue origini, trattando”] di problemi di astronomia o del fondamento della scienza nucleare, abbiamo visto che i corpi celesti, osservati da noi, sono in varie forme di composizione materiale. Non è del tutto escluso, naturalmente, che ci siano in essi processi irreversibili e che, se una certa composizione materiale di una stella sia stata stabilita, possa sorgere la speculazione futurologica, cioè[:] in quale direzione procederà la modificazione materiale in questa stella? Questa sarebbe un’osservazione futurologica entro l’astronomia. Ma non posso, per esempio, concepire nulla in comune tra l’esame del possibile sviluppo materiale di una stella determinata e il possibile sviluppo dei popoli africani.
Jánossy – Credo che ci sia non di meno un punto [“problema”] – sebbene molto generalmente considerato. Se si osserva il processo storico dopo che esso sia avvenuto, si può trovare in questo processo irreversibile che, per esempio, esso ha un carattere auto-fortificante; che il processo diventi fortificato, finché raggiunge un punto dove cambia nel suo opposto e si trasforma fino ad annullare le sue condizioni. Per il capitalismo, ciò è già un fatto visibile. Così si può esaminare il passato dal punto di vista della futurologia in modo da stabilire quali processi possano essere più o meno estrapolati e in quale epoca, a partire dalle loro leggi, hanno avuto un forte effetto nel passato. D’altro lato, si può stabilire quali processi cambino così rapidamente (per esempio attraverso coincidenze) che possono essere estrapolate soltanto per brevi spazi di tempo. La possibilità di influenzare processi, la possibilità di estrapolazione è una questione generale. Ma riguardo all’esempio dell’astronomia e dei popoli africani diventa chiaro in quale grado la misura della possibilità dell’estrapolazione dipenda dall’oggetto. Credo che la scoperta della misura della possibilità di estrapolazione di differenti processi possa forse essere un principio generale pratico della futurologia, meglio di dire: quei processi sono irreversibili. Loro [“Essi”] sono irreversibili, ma hanno un grado differente di costanza.
Mária Holló Jánossy – Ma si sta tralasciando un altro aspetto. Ci sono processi nella società e nell’economia, che possono essere riconosciuti, possono essere previsti, ma possono a stento essere influenzati; tendenze come il declino del lavoro manuale pesante o la diminuzione del numero dei lavoratori in agricoltura; tendenze generali che avvengono indifferentemente ai sistemi, a causa dello sviluppo tecnico, sociale, economico. Allora ci sono gli spesso menzionati effetti collaterali di queste tendenze generali, per lo più negativi: per esempio, l’inquinamento ambientale, il rumore e altri effetti negativi che accompagnano l’urbanizzazione, che non possono essere fermati ma possono certamente essere limitati. Tra queste due estremi ci sono, in quasi ogni campo dello sviluppo, aree in cui il futuro può certamente essere influenzato, per esempio nel campo della spiegazione, dell’educazione e della cultura. Sarebbe compito della futurologia scoprire prima le tendenze oggettive – quelle progressiste come pure le nocive, le retrogradi e le anti-umane – che sono state menzionate e possono a stento essere influenzate, e l’area della loro validità deve essere stabilita.
Lei è uso dire che lei può dedurre da Marx, infatti, solo tre generali tendenze che sono rilevanti per il futuro umano, cioè l’arretramento delle barriere naturali, la riduzione del tempo di lavoro necessario alla riproduzione del lavoro e l’integrazione dell’umanità. Se queste tre tendenze sono considerate come il fondamento, si possono già trarre conclusioni certe da esse; per esempio, nel campo della progettazione educativa, è prevedibile che il tempo speso a lavorare diminuirà e crescerà l’agio. Questo sarà anche fatto – in caso favorevole! – nella progettazione a lungo termine. In questo senso noi stiamo pensando “futurologicamente”.
Lukács – Quello che sto qui osservando con un certo scetticismo è semplicemente la futurologia come scienza separata. Devo ammettere che sono molto scettico verso diverse nuove scienze. Lei mi scuserà, Jutta, se cito un vecchio esempio: nel XIX secolo Comte e Taine posero una separazione tra economia e sociologia, non soltanto in opposizione a Marx ma in opposizione a William Perry e Adam Smith – i vecchi economisti, che erano allo stesso tempo, senza eccezione, economisti e sociologi. Non è vero che esiste una scienza della sociologia indipendente, ma la sociologia è un aspetto di una corretta indagine economica universale della realtà. Può adesso comprendere il mio scetticismo? Se sono scettico verso la sociologia come scienza indipendente, mantengo un certo timore che una scienza speciale della futurologia possa sorgere adesso; desidero tuttavia rilevare che sebbene neghi la sociologia come scienza indipendente, sono molto favorevole alla ricerca sociologica. Queste non sono due affermazioni contraddittorie e non voglio qui essere frainteso: non cesserò di pronunciare lo scetticismo verso la futurologia come scienza, non sono molto favorevole alle ricerche futurologiche.
Jutta Matzner – È certamente problematico parlare di futurologia come una scienza nello stretto senso della parola, perché, come è stato detto, il suo oggetto – la dimensione del futuro – è così [“molto”] difficile da cogliere e ciò è collegato con le difficoltà metodologiche che lei ha descritto. È difficilmente possibile parlare di futurologia come una disciplina monolitica; la ricerca sul futuro è in sé troppo differenziata ed eterogenea, soprattutto nelle sue implicazioni politiche e negli scopi dichiarati. È necessario lottare dentro la futurologia contro quelle scuole che la pongono come una scienza innocente e, infatti, desiderano mantenere le attuali relazioni di dominio nel futuro. Il momento dell’alternativa è, allora, mancante, cioè il momento del cambio qualitativo mediante la prassi, di cui Marx parlò.
Lukács – Qui sono completamente d’accordo con lei. La prego di scusarmi, se ritorno al passato: non dovremmo dimenticare che quando il feudalismo declinò e[,] dopo il Rinascimento, sorse il movimento dell’Illuminismo, esistevano due tipi di discipline. Un tipo era il successore della filosofia scolastica del Medioevo e pensava che il mondo divino, creato da Dio, si movesse in accordo con le leggi eterne della volontà divina. Dall’altro lato, l’Illuminismo sorse gradualmente, scoprendo motivi mondialmente [o “motivi mondani”] indipendenti e immanenti che cambiarono la società. Prendo come esempio l’economia, che venne all’esistenza nel passaggio dal XVII al XVIII secolo. Si può dire in un altro modo: a partire dall’economia di William Petty, un’osservazione futurologica della società borghese può essere considerata come in sviluppo. Sarebbe ridicolo contestare che un numero infinito di elementi futurologici non fossero contenuti nelle opere di D’Holbach, Helvetius, Diderot, Rousseau, Voltaire e altri che tentarono di osservare – attraverso le analisi della società feudale in declino e il sorgere del capitalismo – una certa serie di momenti stabili che erano importanti per lo sviluppo del futuro. Capiamo oggi che essi fondarono la verità di molte cose e in molte altre cose superarono il reale sviluppo.
Jutta Matzner – Queste serie di momenti permanenti sono come esperienze accumulate; e senza la raccolta e la valutazione dell’esperienza, la futurologia è, naturalmente, impossibile. Ma è importante [“capire”] se l’orizzonte della ricerca sul futuro include soltanto queste esperienze che possano essere valutate nell’interesse di stabilizzare il sistema esistente; o se queste esperienze richiamano in questione le strutture della società, particolarmente quelle strutture che ostruiscono un futuro democratico, ma devono anche essere incluse. La futurologia critica sarebbe la seconda.
Lukács – La seconda ovviamente è vera. Al momento nella storia umana, quando differenti formazioni lottavano l’una con l’altra, questa dualità esisteva sempre [o “Sin da quando nella storia umana differenti formazioni hanno lottato l’una contro l’altra, questa dualità è sempre esistita”]. Questo è il motivo per cui mi sono riferito all’Illuminismo. Qui questa dualità può essere vista in forma straordinariamente netta. Esiste oggi, naturalmente, un’alternativa tra capitalismo e socialismo e da ciò non si può evadere. Credo che la futurologia non desideri soltanto conoscere come sarà il futuro, ma anche deve conoscere come dovremmo agire in modo da muoverci verso un futuro desiderato. Di nuovo qui il problema passa dal metodo scientifico alla prassi politica.
Mária Holló Jánossy – Le undici Tesi su Feuerbach possono forse essere applicate alla futurologia critica: l’argomento è non interpretare il mondo, ma cambiarlo.
Ma lasciatemi dire un’altra parola sul tuo scetticismo verso la futurologia come scienza; infatti, è soltanto la futurologia borghese che vuole essere considerata una scienza. Galtung formulò ciò chiaramente a Kyoto, quando disse: la futurologia borghese, che sostengo, riguardo a se stessa non è ideologica, ma scientifica, perché usa i metodi delle scienze sperimentali e delle scienze naturali – esattamente questa futurologia “predittiva” con pretese di oggettività libera dall’ideologia è ideologica, perché estrapola il futuro sulle basi del sistema di valori di oggi. A questa si può opporre una futurologia “prescrittiva”, che è una futurologia che vuole contribuire alla formazione del futuro sulle basi della postulazione dei valori. E con ciò, Galtung perorò a [“in”] favore di una futurologia che non fosse una scienza ma una politica attiva.
Lukács – A questo punto è necessario chiarire una questione di terminologia: la visione che l’ideologia sia una sorta di scienza falsa o soggettiva, è scorretta. Marx definì molto esattamente ciò che era l’ideologia. Lo sviluppo economico della società fa sorgere certi problemi e l’ideologia esiste al fine di rendere consci questi problemi e combatterli. Non c’è nessuna opposizione tra ideologia e scienza. L’ideologia può essere scientifica e può essere non scientifica; la scienza può in certe circostanze essere ideologica o può essere non ideologica.
Mária Holló Jánossy – Galtung non usa la nozione di ideologia nel senso peggiorativo. Piuttosto intende che una futurologia prescrittiva fosse coscientemente ideologica e valutativa.
Lukács – Non dimentichiamo che i più grandi scontri ideologici nei secoli recenti erano combattuti nel campo della scienza. La questione se Copernico o Tolomeo avessero ragione, era per secoli una questione ideologica, per la quale la gente era bruciata, impiccata o decapitata. Non può mai essere previsto quando una scienza si stia sviluppando come ideologia. Ci furono tempi in cui gli scontri ideologici non erano combattuti con armi scientifiche. Nel Medioevo ebbero luogo nel campo religioso e teologico, mentre nel XVII secolo erano già realizzati scientificamente. Ciò è ancora più valido oggi. Per esempio, a partire da Gehlen o Spengler, il momento di una fine della storia sorge sempre; ciò non è niente altro che ideologia, cioè il desiderio di manipolare circoli borghesi in modo da mantenere l’attuale manipolazione come una forma eterna della società umana.
Jutta Matzner – Come definirebbe la relazione tra utopia e futurologia?
Lukács – L’utopia avviene [“ricorre”] nei più sviluppati tempi di crisi, quando una costruzione intellettuale-morale è designata fuori della [o “esclusa dalla”] realtà e proiettata nel futuro. Il lato più forte di un’utopia è la critica delle condizioni fuori delle [“dalle”] quali è stata formulata; ma l’utopia non può essere realizzata in quelle condizioni sociali. Nelle utopie autentiche – Marx riconobbe ciò chiaramente a suo tempo – ogni momento è mancante di ciò che permetterebbe a queste utopie di diventare realtà fuori da una semplice idea[1]. Il socialismo non è un’utopia, perché[,] secondo Marx, il socialismo sorge dallo sviluppo reale delle forze produttive – e non è una forma ideale che è opposta alla realtà.
Marx disse, per esempio, nella sua Critica del programma di Gotha che la società socialista conterrebbe ancora un gran numero di elementi del capitalismo. Marx non partì dalla condizione socialista, ma vide questa come il risultato di uno sviluppo che avveniva con un’irreversibile necessità causale e che offriva, a un certo stadio, la possibilità di una rivoluzione socialista.
C’è anche il metodo marxista della ricerca post festum, mediante il quale certe tendenze possono essere percepite [“lette”]; e ciò tocca quello che è chiamato oggi futurologia. Ma la futurologia non deve essere unita all’ideale di una previsione scientifica, liberata dalla prassi politica. Non è soltanto mediante previsione che qualcosa può essere influenzato e cambiato. Mi riferisco al fatto che se non si vuole influenzare qualcosa, allora non si cercano cause. Non è certamente una coincidenza che Futurum abbia pubblicato un numero sulla ricerca della pace. Guerra e pace sono momenti decisivi di prassi sociale. Ciò è oggettivamente un posto valido dove le cause di conflitti devono essere scoperte [meno letteralmente “È qui che ovviamente vanno ritrovate le cause dei conflitti”].
Jutta Matzner – Bloch descrisse la futurologia in Neues Forum come un surrogato borghese per il marxismo. La futurologia borghese, che è in modo opprimente una strategia per la prevenzione di crisi che possono danneggiare l’esistenza borghese, sarebbe, di conseguenza, sostituita dal marxismo, che contiene elementi di previsione e di prassi politica.
Lukács – Questa è la vecchia questione della superiorità del marxismo. Se il marxismo è superiore alla sociologia e alla storia borghesi nell’analisi della società contemporanea e dello sviluppo, che ha condotto alla società contemporanea, allora sarà superiore come futurologia. Ci sono due cose che non possono essere separate. È realmente una vecchia storia che una madre, che non ha conosciuto alla nascita suo figlio, prevederà meglio lo sviluppo di suo figlio che suo figlio stesso. Penso che la differenza tra marxismo e scienza borghese può essere descritto in questo modo. La scienza borghese non conosce realmente la propria società. Conosce meno le leggi del movimento che hanno creato questa società e che continueranno a creare questa società, di quanto il marxismo faccia; di conseguenza, la scienza borghese sarà inferiore al marxismo in tutte le questioni futurologiche.
Jánossy – Riprendiamo l’esempio del bambino. Il marxismo continuamente ha seguito lo sviluppo del bambino, diciamo, fino ai suoi dieci anni, ma ha immaginato che questo bambino rimanesse sempre a dieci anni. Non si ha notizia che il bambino sia diventato un adolescente nel corso del tempo e di conseguenza non capisce il bambino tanto a lungo. Il marxismo deve compensare questo tempo, dai dieci anni alla pubertà – e soltanto allora sarà superiore alla scienza borghese.
Lukács – In questo caso sono pienamente d’accordo con te a partire dal fatto che è ciò che mi sono sempre chiesto [“proposto”] per venti anni. Trovo abbastanza ridicolo quando qualcuno vuole spiegare il fenomeno americano oggi direttamente dal libro di Lenin sull’imperialismo, che è stato scritto nel 1914. Al tempo di Stalin ci mancò l’opportunità di formulare un’analisi del nuovo capitalismo.
Tanto a lungo è mancata questa analisi che non siamo più autentici marxisti. Correggerei, di conseguenza, me stesso: Bloch avrebbe ragione nel caso di un marxismo reale, e non ha completamente ragione per quanto concerne il marxismo attuale, sebbene per molti rispetti il vecchio marxismo è anche superiore alle teorie borghesi. Reali previsioni saranno possibili quando avremo compreso i cambiamenti del capitalismo negli ultimi decenni in un modo scientifico marxista. Sfortunata mente ciò non è stato ancora fatto. Ci sono singole ricerche qua e là ma la teoria del nuovo capitalismo ancora non esiste.
[1] [Proviamo a tradurre diversamente, seguendo la logica del ragionamento e del pensiero di Lukács: “Nelle autentiche utopie – Marx lo riconobbe chiaramente ai suoi tempi – mancano quei momenti, quei passaggi, che permetterebbero a queste utopie di diventare, da semplici idee, una realtà”. In una concezione dialettica del processo di sviluppo della realtà, i “momenti” sono fasi di trasformazione che derivano da un antecedente concreto.]