di Giorgio Cesarale
da G. L., Storia e coscienza di classe, trad. di G. Piana, PGreco, Milano 2022
1. La preistoria di Storia e coscienza di classe
Una delle caratteristiche di Storia e coscienza di classe, l’opera filosofica più importante che sia sorta nel seno del marxismo del ’900, è la straordinaria tensione fra la brillantezza delle formulazioni e la complessa e magmatica materia storico-spirituale che vi è sottesa. Soprattutto oggi, a un secolo di distanza dalla pubblicazione dell’opera, si può cogliere in essa la freschezza e la potenza di quelle tesi che hanno dato vita a una intera tradizione filosofica e politica, il “marxismo occidentale”: il marxismo inteso come metodo di autonoma ricerca e nuova costruzione anziché come archivio di “citazioni” da applicare estrinsecamente alla materia storica o come semplice accertamento del fondamento “economico” di ogni azione umana; la coscienza di classe come “coscienza attribuita di diritto”, cioè come coscienza che, comprendendo la propria posizione nella totalità dei rapporti di produzione capitalistici, attinge la sua destinazione storico-politica; la conseguente critica alla separazione fra coscienza e realtà, di cui si scopre il fondamentale motivo generatore nella merce, che è la cellula germinale di quel capitalismo che ne ha cagionato la generalizzazione, sia intensive sia extensive; la diagnosi circa il carattere pervasivo della reificazione o alienazione degli uomini nella società moderna, in grado di investire una molteplicità di livelli costitutivi della loro vita, fino a quello politico, dove essa si esprime o come opportunistico accomodamento alle condizioni presenti, la socialdemocrazia, o come slancio volontaristico al di là di esse, l’utopismo, l’anarchismo, il blanquismo; il principio della prassi come cosciente modificazione della realtà, che ne dissolve la scorza apparentemente intangibile, la “seconda natura”, per ricondurla alla vivente interazione antagonistica fra le classi; la critica alle antinomie della filosofia moderna, p. cs. quelle fra immediatezza e mediazione, contenuto e forma, essere e pensiero, in quanto generate dal mancato attingimento di questo stesso principio della prassi; la ricostituzione delle categorie del marxismo attorno a una nozione di proletariato come “soggetto-oggetto identico” che, fornendo il contenuto materiale delle forme che costellano il processo di riproduzione capitalistico, scioglie le stesse antinomie del pensiero borghese, e impone così una ristrutturazione del significato della storia nel senso di una soggettività che ne costituisce sempre l’oggettività, anziché semplicemente rifletterla; la critica, su tale base, alla dialettica della natura configurata da Engels, per la quale ti soggetto coglie i nessi dialettici naturali in veste di osservatore, come se tosse uno spettatore che li contempla puramente dall’esterno; la riattivazione del nucleo antifeticistico della dialettica, intesa come esperienza del pensiero che, negando ogni determinazione rigidamente finita e unilaterale, arriva a incorporare la stessa genesi delle forme, a riconvertire le cose nei processi e questi ultimi di nuovo nelle cose1.
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