Maxima Moralia: etiche al lavoro in György Lukács e Günther Anders

di Aldo Meccariello

da Vie traverse. Lukács e Anders a confronto, a cura di A. Meccariello e A. Infranca, Asterios, Trieste, 2019.


Premessa

C’è una singolare e sorprendente convergenza che si intravvede, leggendo il carteggio che pubblichiamo in appendice tra György Lukács e Günther Anders, nell’ultimo periodo della loro esistenza, (Lukács muore nel 1971 e Anders nel 1992), sul terreno dell’etica, o per meglio dire, di domande etiche urgenti e ineludibili. Siamo intorno alla metà degli anni ’60, l’Europa è in piena guerra fredda, la minaccia atomica aleggia come uno spettro sull’umanità, dopo la grave crisi missilistica a Cuba nell’ottobre del 1962, infuria la guerra in Vietnam mentre esplodono guerre civili in Africa. Nel blocco orientale erano ancora forti le risonanze, soprattutto tra gli intellettuali del XX Congresso del PCUS, che denunciavano lo stalinismo mentre si susseguivano eventi drammatici destinati a lasciare segni epocali (crisi ungherese, polacca e tedesca e lotte di liberazione nel terzo mondo). Nel blocco occidentale invece si registra la fine del monopolio atomico americano e un drastico ridimensionamento della “coesistenza pacifica”. La logica della guerra fredda, dello scontro tra due sistemi sociali e due campi di potenza permaneva, ma si trasferiva però anzitutto in una sfida produttiva e in una competizione per l’egemonia mondiale. A partire dai primi anni Sessanta, Lukács sviluppa progressivamente la sua nuova ontologia dell’essere sociale. Dallo stesso nome scelto per indicare la sua proposta filosofica risulta chiara l’opposizione al materialismo dialettico sovietico (che era un’ontologia dialettica unica dell’essere sociale e naturale) e all’impostazione classica di Engels, per cui il passaggio al socialismo era assimilabile ad un processo di storia naturale. Il pensatore ungherese, dopo l’episodio della partecipazione al governo Nagy nel 1956, viene deportato in Romania e rientra in patria l’anno dopo e non viene ammesso al partito comunista ungherese. Lavora alla sua Estetica che conclude nel 1964 e all’ultima grande opera l’Ontologia dell’essere sociale che uscirà postuma nel 1976. Anders, dopo l’esilio americano, è rientrato in Europa negli anni ’50 e si è stabilito definitivamente a Vienna. È impegnato nei movimenti antinucleari per denunciare l’orrore atomico, è in dialogo con il pilota di Hiroshima Claude Eatherly che prende progressivamente coscienza dei sensi di colpa per essere materialmente responsabile di un atto alla cui decisione non aveva avuto parte alcuna. I motivi del carteggio scorrono come rivoli carsici e hanno pochissime emersioni di superficie ma sollecitano pensieri, interlocuzioni, repliche, restando sottotraccia, e fuori scena.

Continua a leggere

Introduzione al carteggio Lukács-Anders

di Devis Colombo

da Vie traverse. Lukács e Anders a confronto, a cura di A. Meccariello e A. Infranca, Asterios, Trieste, 2019.


Pubblichiamo qui per la prima volta la traduzione italiana del carteggio fra due rappresentativi esponenti della critica contemporanea all’estraniazione, Günther Anders e György Lukács1. Infatti, sebbene i due pensatori siano caratterizzati da una prospettiva filosofica differente – il primo contribuisce a coniugare l’antropologia filosofica con il dibattito sulla tecnocrazia, mentre il secondo pone le solide basi di un “marxismo occidentale” –, nelle lettere fra loro intercorse a fasi intermittenti, tra il 1964 e il 1971, concordano nel rilevare una significativa affinità teorica nella concezione dell’estraniazione e nelle modalità con cui condurre la battaglia ideologica e pratica volta a un suo superamento. Se il dialogo fra Anders e Lukács su quest’argomento non ha potuto abbandonare la fase delle considerazioni introduttive – restando comunque il più significativo aspetto del loro carteggio –, ciò è accaduto perché l’approfondito confronto sull’argomento che si erano ripromessi di svolgere in prima persona non si è mai potuto verificare per via delle vicissitudini personali dei due autori.

Continua a leggere

Carteggio Lukács-Anders

da Vie traverse. Lukács e Anders a confronto, a cura di A. Meccariello e A. Infranca, Asterios, Trieste, 2019.

traduzione di Devis Colombo


il 23.5.64

Caro signor Anders,

ho ricevuto il Suo scritto con grande gioia1. È il Suo primo segno di vita da quando anni fa a Vienna ebbe modo di consegnarmi il Suo studio su Kafka2; detto per inciso: da allora non ho letto niente di meglio su Kafka. In seguito lessi con grande interesse L’uomo è antiquato3 e in particolare la Sua pubblicazione sul pilota di Hiroshima4.

Ora ho potuto leggere il Suo nuovo studio con grande interesse e con molto piacere. Lei non è l’unico che si preoccupa dell’estraniazione [Entfremdung] contemporanea e che si impegna a dare espressione scientifica a queste preoccupazioni. Sono assai scettico della mediocre letteratura sull’estraniazione. Regna in essa un vigliacco e falso autocompiacimento. L’estraniazione viene “smascherata”, ma così come se essa riguardasse unicamente la misera plebs e in nessun modo l’autore, l’intellettuale aristocratico non conformista. Con questa mia posizione, che in altre circostanze ho chiarito nella Prefazione alla Teoria del romanzo, ritengo infatti che alcuni autori si curano di vivere nel “Grand Hotel Abisso” da dove, sull’orlo dell’abisso (un abisso inteso come una prestazione di servizio particolarmente raffinata della società contemporanea) possono godere di una buona coscienza. Non è stata per me una sorpresa constatare che Lei non fa parte di questa schiera di “critici della cultura”. E devo dirLe che fu per me una gioia particolare prendere atto di come la Sua critica dell’estraniazione sia tanto vicina alla mia concezione della “manipolazione mite” su cui ho scritto nel mio articolo per “Forvm”»5. Che Lei menzioni soltanto marginalmente ciò che io lì definii «manipolazione brutale» è nell’ordine delle cose, dato che ciò non apparteneva al Suo tema. Sarebbe naturalmente molto interessante discutere tra noi anche di questo tema, vale a dire del superamento della «manipolazione brutale» e del modo per raggiungerlo. Per questo sarebbe però necessaria una conversazione. Come ebbe a dire il vecchio Fontane, è un argomento troppo vasto per poter esser trattato per lettera. Con cordiali saluti e grazie ancora per avermi inviato il Suo scritto.

Continua a leggere

Lukács

di Gregory Claeys

da Marx e il marxismo (2018), Einaudi, Torino, 2020

[Il titolo del paragrafo da cui è estratto questo sintetico profilo è in realtà intitolato Lukács e Gramsci, ma l’autore non fa un confronto tra i due autori, e inoltre tratta in maniera compilativa e ancora più sintetica di altri autori marxisti degli anni ’20-’30].


L’ungherese György (Georg) Lukács e l’italiano Antonio Gramsci furono i più importanti autori marxisti degli anni Venti e Trenta. Figlio di un ricco banchiere e allievo di Georg Simmel e Max Weber, Lukács (1885-1971) divenne commissario per la cultura della sfortunata Repubblica democratica di Ungheria del 1919. Si trasferì poi a Vienna e nel 1929 a Mosca1. Nel 1918 professava ancora un idealismo etico e invocava «la creazione di istituzioni coerenti con esso». Riteneva inoltre che il bolscevismo, postulando che «il bene può venire dal male», presentava «un insolubile dilemma morale». In un articolo intitolato I fondamenti etici del comunismo (1918-19) individuò nell’«amore reciproco» e nella «solidarietà» il fine della lotta di classe2.

Continua a leggere