di Gregory Claeys
da Marx e il marxismo (2018), Einaudi, Torino, 2020
[Il titolo del paragrafo da cui è estratto questo sintetico profilo è in realtà intitolato Lukács e Gramsci, ma l’autore non fa un confronto tra i due autori, e inoltre tratta in maniera compilativa e ancora più sintetica di altri autori marxisti degli anni ’20-’30].
L’ungherese György (Georg) Lukács e l’italiano Antonio Gramsci furono i più importanti autori marxisti degli anni Venti e Trenta. Figlio di un ricco banchiere e allievo di Georg Simmel e Max Weber, Lukács (1885-1971) divenne commissario per la cultura della sfortunata Repubblica democratica di Ungheria del 1919. Si trasferì poi a Vienna e nel 1929 a Mosca1. Nel 1918 professava ancora un idealismo etico e invocava «la creazione di istituzioni coerenti con esso». Riteneva inoltre che il bolscevismo, postulando che «il bene può venire dal male», presentava «un insolubile dilemma morale». In un articolo intitolato I fondamenti etici del comunismo (1918-19) individuò nell’«amore reciproco» e nella «solidarietà» il fine della lotta di classe2.
Quando la repubblica del 1919 crollò Lukács riuscì a fuggire e a salvarsi la vita. A Vienna riprese e rielaborò una serie di saggi in vista della pubblicazione della sua opera più nota, Storia e coscienza di classe (1923)3. In essa l’intellettuale ungherese puntava in sostanza a rimettere in discussione le basi scientifiche del marxismo ufficiale, rifiutando l’applicazione della dialettica engelsiana alla natura. Anticipando la riscoperta dell’umanismo del giovane Marx – nel quale, secondo lui, «il problema dell’alienazione è stato sollevato per la prima volta» – sottolineò la dimensione soggettiva della coscienza di classe4. Il suo idealismo rivoluzionario, per molti versi un vero e proprio «platonismo», era dunque agli antipodi del bolscevismo. La sua escatologia secolare doveva molto più a Hegel che al materialismo meccanicista di Bucharin e di altri autori bolscevichi5. La sua idea di comunismo non era però così diversa da quella di Marx o di Lenin: secondo lui il fine ultimo del comunismo consisteva nell’«edificazione di una società in cui la libertà della morale prenderà nella regolamentazione di tutte le attività il posto del carattere coercitivo del diritto»6. Prendendo le mosse dall’analisi marxiana del feticismo delle merci, Lukács sviluppò inoltre il concetto di «reificazione», di cui si servì per spiegare una serie di distorsioni che intaccano la nostra coscienza della realtà, in particolare la credenza secondo cui saremmo governati da leggi al di fuori del nostro controllo, credenza che ci impedisce di afferrare la «totalità» del mondo (cosa che Lukács considerava possibile). Lukács pensava inoltre che il processo di reificazione potesse essere superato con la coscienza proletaria, che avrebbe permesso alla classe operaia di ergersi a soggetto della storia.
A Mosca, nel 1921, durante il III Congresso del Comintern, Lukács soccombette al carisma di Lenin, e dopo la sua morte ne tracciò un profilo dai toni estremamente adulatori7. Da quel momento in poi, seppur critico di Stalin, non rinunciò mai al leninismo, ribadendo il ruolo di guida del partito inteso come incarnazione della dittatura del proletariato e della coscienza proletaria8. Esiliato a Mosca dal 1930 al 1945, Lukács lavorò con David Rjazanov e in pubblico si presentò sempre come uno stalinista convinto: così facendo riuscì miracolosamente a sopravvivere alle purghe. Rinnegò Storia e coscienza di classe dicendo che si trattava di un «libro sbagliato», irrimediabilmente compromesso da un «messianismo rivoluzionario». In Ungheria, nel 1956, prese parte al governo di Imre Nagy, che abolì lo Stato monopartitico e fu poi estromesso dall’intervento dei sovietici. Lukács, comunque, non era né per il pluralismo politico né per il ritiro dal Patto di Varsavia. Pensò sempre che solo i marxisti dovessero insegnare filosofia nelle università. Inoltre secondo lui non si doveva permettere a libri come il Mein Kampf di Hitler (1925) di circolare liberamente. Secondo Victor Serge legittimò il totalitarismo, poiché era convinto che la storia non poteva essere separata dalla politica e per questo doveva essere scritta dai funzionari del Partito comunista9.
Anche durante gli anni della maturità Lukács negò che il marxismo necessitasse di una qualsivoglia «revisione» e nel 1971 disse che Marcuse e Bloch erano solo degli «utopisti»: lui, invece, era un vero «marxista». Affermò inoltre che «le teorie economiche di Marx non sono propriamente corrette» e che «il nucleo del suo pensiero è costituito, in realtà, dalla visione della storia e dall’analisi della coscienza sociale». In una delle sue ultime opere, L’uomo e la democrazia (1968), rifiutò l’idea di uno stato multipartitico e invocò una «trasformazione sovvertitrice» della natura umana nel quadro di una visione che alcuni hanno assimilato al totalitarismo10. Dopo il 1956 fu attaccato dagli stalinisti, che lo accusarono di essere revisionista e di aver introdotto nel marxismo un’enfasi hegeliana sulla coscienza. Difatti Lukács si prodigò per riaccendere l’interesse nei confronti delle radici hegeliane del marxismo, in special modo con il libro Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica (1948). Fu inoltre studioso di estetica e critico letterario influente; scrisse un importante studio sull’irrazionalismo come fonte del nazionalsocialismo, oltre a un’opera rimasta incompiuta, Ontologia dell’essere sociale11.
1 Si veda G. Lukács, Record of a Life. An Autobiographical Sketch, Verso, New York 1983. E inoltre: G. Lichtheim, George Lukács, Oxford University Press, Oxford 1970; A. Arato, P. Breines, The Young Lukács and the Origins of Western Marxism, Pluto Press, London 1979; A. Kadarkay, Georg Lukács. Life, Thought, and Politics, Blackwell, Cambridge 1991.
2 Kadarkay, Georg Lukács. Life, Thought, and Politics cit., pp. 195, 200, 214.
3 G. Lukács, Storia e coscienza di classe, SugarCo, Milano 1991.
4 Id., Record of a Life. An Autobiographical Sketch cit., p. 77.
5 Come afferma Kadarkay, Georg Lukács. Life, Thought, and Politics cit., p. 270.
6 G. Lukács, Il ruolo della morale nella produzione comunista (1919), in Id., Scritti politici giovanili 1919-1928, Laterza, Bari 1972, p. 65.
7 Id., Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero cit.
8 Una delle sue ultime opere, Solzhenitsyn (Merlin Press, London 1970), rimproverava allo scrittore russo di non aver affrontato i «grandi temi della politica» all’interno del suo romanzo Una giornata di Ivan Denisovič (1962), e prometteva una «rinascita del marxismo» (p. 15).
9 Serge, Memorie di un rivoluzionario cit., p. 166.
10 G. Lukács, L’uomo e la democrazia, Lucarini, Roma 1987, p. 141; Kadarkay, Georg Lukács. Life, Thought, and Politics cit., pp. 461-63.
11 G. Lukács, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, Einaudi, Torino 1975; La distruzione della ragione, Einaudi, Torino 1980; Ontologia dell’essere sociale, 4 voll., PGreco, Milano 2012.
Va apprezzato,questo scritto di Claeys su Georghy.Lukacs in quanto non.indulge a rappresentarci il filosofo comunista ungherese come un mero e squallido.revisionista liberale e socialdemocratico,ma sempre sostenitore del.potere ordinatore ed egemonico del Partito.
Comunista nell’:ambito della Totalità Socialista ,alla faccia delle solite invettive e giaculatorie oscure dei cosiddetti antitotalitari!Ricordiamo,di rincalzo il detto di.Giorgio.Hegel,essere la Totalità la dimensione del Vero! Contro ogni riduzionismo della sistematica dell’atomismo sociale!