di Aldo Meccariello
da Vie traverse. Lukács e Anders a confronto, a cura di A. Meccariello e A. Infranca, Asterios, Trieste, 2019.
Premessa
C’è una singolare e sorprendente convergenza che si intravvede, leggendo il carteggio che pubblichiamo in appendice tra György Lukács e Günther Anders, nell’ultimo periodo della loro esistenza, (Lukács muore nel 1971 e Anders nel 1992), sul terreno dell’etica, o per meglio dire, di domande etiche urgenti e ineludibili. Siamo intorno alla metà degli anni ’60, l’Europa è in piena guerra fredda, la minaccia atomica aleggia come uno spettro sull’umanità, dopo la grave crisi missilistica a Cuba nell’ottobre del 1962, infuria la guerra in Vietnam mentre esplodono guerre civili in Africa. Nel blocco orientale erano ancora forti le risonanze, soprattutto tra gli intellettuali del XX Congresso del PCUS, che denunciavano lo stalinismo mentre si susseguivano eventi drammatici destinati a lasciare segni epocali (crisi ungherese, polacca e tedesca e lotte di liberazione nel terzo mondo). Nel blocco occidentale invece si registra la fine del monopolio atomico americano e un drastico ridimensionamento della “coesistenza pacifica”. La logica della guerra fredda, dello scontro tra due sistemi sociali e due campi di potenza permaneva, ma si trasferiva però anzitutto in una sfida produttiva e in una competizione per l’egemonia mondiale. A partire dai primi anni Sessanta, Lukács sviluppa progressivamente la sua nuova ontologia dell’essere sociale. Dallo stesso nome scelto per indicare la sua proposta filosofica risulta chiara l’opposizione al materialismo dialettico sovietico (che era un’ontologia dialettica unica dell’essere sociale e naturale) e all’impostazione classica di Engels, per cui il passaggio al socialismo era assimilabile ad un processo di storia naturale. Il pensatore ungherese, dopo l’episodio della partecipazione al governo Nagy nel 1956, viene deportato in Romania e rientra in patria l’anno dopo e non viene ammesso al partito comunista ungherese. Lavora alla sua Estetica che conclude nel 1964 e all’ultima grande opera l’Ontologia dell’essere sociale che uscirà postuma nel 1976. Anders, dopo l’esilio americano, è rientrato in Europa negli anni ’50 e si è stabilito definitivamente a Vienna. È impegnato nei movimenti antinucleari per denunciare l’orrore atomico, è in dialogo con il pilota di Hiroshima Claude Eatherly che prende progressivamente coscienza dei sensi di colpa per essere materialmente responsabile di un atto alla cui decisione non aveva avuto parte alcuna. I motivi del carteggio scorrono come rivoli carsici e hanno pochissime emersioni di superficie ma sollecitano pensieri, interlocuzioni, repliche, restando sottotraccia, e fuori scena.
In una lettera di Anders a Lukács indirizzata dall’Italia, il 4 Giugno 1964, leggiamo:
Caro signor Lukács,
non ho bisogno di dirLe quanto io sia stato lieto delle Sue parole di comprensione. Sì, naturalmente il problema del superamento dell’estraniazione è il problema: ma io sono ancora sommerso da manoscritti che descrivono la forma contemporanea dell’estraniazione e che dovrebbero confluire nel secondo volume de L’uomo è antiquato. Dovrebbe in realtà essere già stato concluso da tempo ma la sua stesura avanza solo molto lentamente a causa della mia attività nel movimento antinucleare. Per il momento sono pienamente impegnato nel respingere un infame attacco contro Claude Eatherly, e a tal scopo devo addirittura scrivere un libricino […].
La risposta di Lukács non tarda ad arrivare
Budapest, il 12.6.64
Caro signor Anders!
[…] Mi ha fatto particolarmente piacere sapere che Lei prenderà ancora posizione nella vicenda del pilota di Hiroshima. Fa parte dei sintomi dei nostri giorni, a partire dal fascismo sino alla fama di prestigio, che tutto venga giustificato e che non appena qualcuno si erga eroicamente contro questo tempo nasca una campagna di diffamazione. Conoscete il caso Niekisch in Germania? È anch’esso qualcosa di simile […].
È molto interessante questa equiparazione sottolineata da Lukács, tra il caso del tormentato pilota americano e del rivoluzionario tedesco Ernst Niekisch, due figure emblematiche del Secolo breve che mobilitano la coscienza etica e la responsabilità sociale dei due pensatori.
Chi è Eatherly? Chi è Niekisch? È opportuno tracciare ora un breve ritratto delle due controverse figure per mettere a punto una possibile consonanza etico-politica che filtra nell’intero carteggio tra i due pensatori.
Dal lato di Günther: Eatherly
Verso la fine degli anni Cinquanta, Anders, che aveva già pubblicato la prima parte dell’antiquatezza dell’uomo, avviò tra il 1959 e il 1961 un inedito carteggio con Claude Eatherly, uno dei piloti di Hiroshima che, constatate sufficienti condizioni di visibilità, aveva dato il via libera al bombardamento atomico sulla città giapponese. Sconvolto dai sensi di colpa per l’enorme massacro di cui si sentiva responsabile, non si riprese più dopo quell’esperienza, precipitando nella spirale della depressione e dell’alcolismo, dopo aver rinnegato la sua attività di soldato, fine alla sua morte nell’assoluta indifferenza avvenuta nel 1978.
Questo scambio epistolare pubblicato per la prima volta nel 1961 in lingua inglese e in italiano nella edizione einaudiana del 1962 con il titolo, La coscienza al bando1. Il caso Eatherly colpisce l’attenzione di Anders perché rappresenta l’«antitesi» di Adolf Eichmann, il burocrate deresponsabilizzato dello sterminio e l’incarnazione della banalità del male. Infatti, il pilota è l’ultima vittima di Hiroshima. Ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Waco perché considerato psichicamente instabile, Eatherly vide anche la fine del suo matrimonio con la moglie Concetta Margetti, un’attrice italo-americana sposata nel 1943. Il significato che Anders dà a questo personaggio simbolo, è quello di essere «incolpevolmente colpevole»2 (schuldlos schuldig): incolpevole, per essere stato all’oscuro della spaventosa potenzialità distruttiva della bomba, colpevole, per essere diventato comunque «un pezzo di apparato complice del crimine». Allo stesso modo di Eichmann infatti, di cui noi tutti siamo figli, noi al giorno d’oggi non siamo altro che innumerevoli Claude virtuali3, «tutti nella stessa barca, anzi figli di una stessa famiglia»4. Nella prima lunga lettera dell’epistolario indirizzata al pilota, datata 3 Giugno 1959, il filosofo tedesco coglie la matrice etica, del suo caso perché «non siamo medici né psicologi. Ma perché ci sforziamo, con ansia e sollecitudine, di venire a capo dei problemi morali che, oggi, si pongono di fronte a tutti noi»5. L’ordigno atomico, osserva Anders, ha raggiunto tali livelli di distruttività da espropriare l’uomo della sua capacità di immaginarne le conseguenze «come le rotelle di una macchina, possiamo essere inseriti in azioni di cui non prevediamo gli effetti»6. In altri termini, il senso di colpa morale provato da Eatherly nasceva dal fatto che egli aveva agito come la semplice rotella di una macchina di morte di cui non sospettava la potenza distruttiva ma ciò non alleviava la sua coscienza per un’autoassoluzione. La trasformazione della morale che questo comporta riguarda tutti noi. Anders interpella Eatherly come uno dei primi ad essersi trovato così profondamente invischiato in questa colpa di nuovo tipo. La risposta dell’ex pilota non si fa attendere e nove giorni dopo, il 12 giugno, confessa al filosofo chiamandolo Dear Sir di avere l’impressione «che Lei mi capisca come nessun altro, salvo forse il mio medico e amico»7. La corrispondenza si infittisce già dopo pochi giorni quando in una successiva lettera del 23 giugno Claude chiede al filosofo di poter avere una copia dei suoi Comandamenti dell’era atomica precedentemente apparsi nella “Frankfurter Allgemeine Zeitung” del 13 luglio 1957. I Comandamenti argomentavano la possibilità dell’Apocalisse «che è opera nostra. Ma noi non sappiamo quello che facciamo. No, non lo sappiamo; e non lo sanno nemmeno quelli che dispongono e decidono di essa»8 ed esplicitavano il nucleo filosofico del dislivello prometeico ossia lo scarto paradossale tra immaginare e produrre. Quella descritta da Anders è dunque una forma apocalittica di caducità di cui, nei suoi «comandamenti per l’era atomica» egli avverte i contemporanei di assumere tutta la portata: Non avere paura di avere paura9. Ossia occorre cominciare ad avere paura interrompendo la perversa spirale di delegare il destino di ciascuno di noi al potere politico e militare. La lettura delle proposizioni andersiane è per il pilota, già impegnato nei movimenti pacifisti, formativa e terapeutica: «La Sua profonda sincerità e il Suo modo di esprimersi mi hanno riempito di fiducia; confido nei Suoi sforzi di rendere questo mondo sicuro e pacifico»10. Anders restituisce al pilota il rispetto per il suo attuale stato di coscienza, con cui affronta a posteriori gli effetti di quello che all’epoca non aveva potuto prevedere.
In una lettera del 20 Settembre del 1959 egli aggiunge: «Penso che siamo d’accordo sul punto che la tua storia deve essere scritta. Questo è il tuo compito odierno che non è per oggi, ma per domani»11. Questo mantenere viva la coscienza della catastrofe che ha provocato quasi 200.000 morti è quanto Eatherly può fare nella sua vita presente: la sua angoscia è ineludibile, e il suo pentimento destinato a restare comunque inadeguato. Anders osserva che «se la situazione di Eatherly è cambiata, il suo caso non è però invecchiato. Anzi, è di una specie così nuova che non ha ancora trovato comprensione. Poiché Claude è stato il primo a tradurre il carattere della nostra epoca nel linguaggio di una vita foggiata e vissuta interamente dai fatti e dalle angosce dell’era atomica. Per questo motivo, il filosofo tedesco incita il suo pilota che è l’interlocutore di un dialogo senza barriere sulle problematiche etiche dell’era atomica a scrivere la sua autobiografia. Ma simbolo Eatherly lo è, e questo lo distingue da Eichmann, facendone una figura positiva, anche del futuro: «l’eccezionalità della sua esperienza [è] costituita proprio nella comprensione (anche se, necessariamente, inutile) e nel pentimento per qualcosa a cui egli aveva soltanto collaborato; nel fatto che egli si sia ‘fatto carico’ moralmente ed emozionalmente di un’azione che in realtà non aveva ‘intrapreso’»12, lo rende, secondo Anders, «in qualche modo il nostro maestro»13. Ad Hiroshima infatti si realizza quella totale esclusione dei fattori nel senso che i piloti americani non hanno visto le loro vittime, non hanno avuto alcun contatto con esse. Essi, limitandosi a premere un bottone, sono rimasti separati dal luogo dove si realizzavano gli effetti della loro azione, hanno partecipato alla loro missione di volo non certo in quanto sadici o perché avessero imparato ad uccidere volentieri: «Ciò che importa è che il mio nome sia diventato molto più noto di quello degli uomini che hanno effettivamente lanciato la bomba. Il mio segnale di via libera deve diventare il mezzo che mostra la mia colpa»14. Sono le questioni che ossessionano il pilota di Hiroshima e sollecitano la inquieta riflessione andersiana. Manca infatti ormai ogni rapporto diretto tra l’azione criminale e colui che la compie, condannato, come un lavoratore qualsiasi, a non sapere cosa sta facendo. Siamo all’ora zero della morale. Il pensatore tedesco vede in Eatherly l’interlocutore credibile per discutere senza barriere intorno all’etica dell’era atomica. Come Auschwitz, Hiroshima è il vero scandalo morale della nostra epoca.
Tutte le filosofie morali e religiose esistenti si sono rivelate affatto obsolete, sono saltate per aria con Hiroshima e sono state gassate con Auschwitz. Siamo all’anno zero della nuova etica15.
Affrontare in maniera nuova le questioni etiche del nostro tempo è più che mai urgente. Da dove comincia una nuova etica? Dal bene o dal male? Le domande sorte dalle catastrofi del secolo scorso dicono che l’etica non è l’insieme di teorie o di dottrine ma «ci cade addosso attraverso l’esperienza traumatica della vita offesa»16. Anders non esita a definire Hiroshima e Auschwitz i due maggiori scandali morali del secolo ventesimo, materiali per un capitolo dell’etica, ancora tutto da scrivere, ma che dovrebbe avere come titolo: “MAXIMA MORALIA”17.
Parafrasando Adorno, Anders, conclude così il suo diario da spettatore. L’occasione gli è data nel gennaio del 1979, quando vede in TV la miniserie americana, Holocaust, diretta da Marvin J. Chomsky, che racconta le vicende drammatiche di due famiglie tedesche, quella ebrea dei Weiss e quella nazista dei Dorf. Il film che riscuote un enorme successo di pubblico nella Germania Federale mostra l’orrore dello sterminio e Anders, a dispetto di molte critiche, soffermandosi sull’impatto cognitivo ed etico delle immagini scrive: «Ciò che dobbiamo fare, e ciò che il film ha fatto, è ritrasformare le cifre in esseri umani. E mostrare come i sei milioni di gassati siano stati sei milioni di individui»18. Tuttavia, il filosofo dinanzi alla bancarotta dell’etica novecentesca e al suo cumulo di rovine, indugia e non scrive questo capitolo dal sapore adorniano, che avrebbe potuto riconfigurare una nuova meditazione della vita offesa.
Dal lato di Lukács: Niekisch
A partire dalla metà degli anni Venti e fino all’avvento del nazionalsocialismo nel 1933, la situazione in Germania è esplosiva e drammatica. Lo spirito di Versailles aleggia come lo spettro che ha umiliato la dignità tedesca e la Repubblica di Weimar si rivela già fragile e debole quando nasce nel 1919 con un nuovo testo costituzionale approvato il 31 luglio dello stesso anno. Fioriscono molti movimenti giovanili di resistenza e caratterizzati dalle idee di nazione, di comunitarismo e dal contrasto tra il mondo germanico e il mondo romano acuitosi dall’esito disastroso del trattato di Versailles. Tra questi gruppi, si distingue un movimento denominato nazional-bolscevismo di cui Ernst Niekisch fu uno degli esponenti più autorevoli. Poi tra il 1932 e il 1933 la Germania vide la morte della Repubblica di Weimar, la sconfitta del KPD – che pure aveva potuto contare sino a cinque milioni di elettori – e l’avvento della dittatura nazista, ciò fu anche a causa del naufragio di quel progetto di costruzione di un socialismo di Stato, in grado di eliminare le contraddizioni tra Capitale e Lavoro, che la sinistra social-comunista aveva abbracciato, regalando in questo modo ad Hitler il cemento culturale e sociale per la costruzione del suo Stato totalitario.
In Ernst Niekisch si incarnano con chiarezza le caratteristiche – e le contraddizioni – evocate dal termine nazional-bolscevico e che rispondono molto più ad uno stato d’animo, ad una disposizione attivista, che ad una ideologia dai contorni precisi o ad una unità organizzativa, poiché questo movimento era composto da una infinità di piccoli circoli, gruppi, riviste ecc. senza che ci fosse mai stato un partito che si fosse qualificato nazional-bolscevico19. Lo storico Walter Laqueur sottolinea che «il nazional-bolscevismo non era un partito politico, un blocco omogeneo; consisteva di decine e decine di gruppuscoli. Ideologicamente l’arco andava da Ernst Jünger, che per un certo tempo fece combutta con loro, a Ernst Niekisch, che li prendeva assai più sul serio […] Niekisch, dal canto suo, si adoperò nel tentativo di offrire una sintesi di estremismo nazionalistico di destra e di comunismo rivoluzionario»20, a sostegno di un’alleanza con la Russia comunista in chiave antioccidentale e dal tentativo di coniugare nazionalismo e classismo. L’Occidente, come lo vedevano i nazionalbolschevichi, si identificava con la way of life americana, con il trattato di Versailles, con la decadenza della società borghese materialistica. L’Oriente, come aveva avvertito il diabolico ministro nazista della Propaganda Goebbels negli anni venti, era l’alleato naturale della Germania contro il corrotto Occidente. Niekisch (che era nato il 23 maggio 1889 a Trebnitz in Slesia) aveva partecipato alla rivoluzione bavarese del 1918-19, poi era uscito dalla SPD non solo perché il partito non aveva denunciato fino in fondo l’umiliazione di Versailles ma aderiva alle ragioni dell’internazionalismo marxista. Dal 1919 Niekisch era un attento lettore di Spengler (cosa che non deve sorprendere in un socialista di quell’epoca, nella quale esisteva a livello intellettuale e politico una compenetrazione tra destra e sinistra, quasi una osmosi, impensabile nelle attuali circostanze), del quale assimilerà soprattutto la famosa opposizione manniana fra “Kultur” e “Zivilisation”. Ma la sua concezione politica fu notevolmente segnata dalla lettura di un articolo di Dostoevskij che ebbe una grande influenza nella Rivoluzione conservatrice tramite il Thomas Mann delle Considerazioni di un impolitico, e di Moeller van den Bruck, lo storico e scrittore tedesco suicidatosi nel 1925 ed esponente di punta della critica contro le pretese romane di dominio universale. Nell’aprile 1930 compare su Widerstand un articolo programmatico organizzato per punti, intitolato Die Politile des deutschen Widerstandes [La politica della resistenza tedesca], all’interno del quale Niekisch rifiuta radicalmente l’Occidente in tutte le sue forme (liberalismo, democrazia, capitalismo, marxismo, cattolicesimo, umanesimo, borghesia) e vede nel bolscevismo russo la più radicale negazione delle idee del 1789. Proclama la rinuncia agli ideali umanitari, esalta un modello di vita improntato alla povertà, alla disciplina militare e alla valorizzazione assoluta del principio di autorità.
La rivista da lui fondata nel 1926 “Widerstand” (Resistenza) rompe i legami con il socialismo tradizionale e si orienta nel campo dell’estrema destra nazionalista. Obiettivo polemico è la denuncia del Trattato di Versailles imposto dall’Occidente e dal capitalismo internazionale e causa dell’umiliazione dello spirito tedesco. Convinto che il declino del germanesimo fosse iniziato sin dai tempi di Carlo Magno con il massacro della nobiltà sassone e la conversione forzata dei sopravvissuti al cattolicesimo, il pensatore di Trebnitz, fortemente ostile all’influenza romano-cattolica sulla Germania, fondava la sua idea politica su un’alta valorizzazione dello Stato di diretta discendenza hegeliana e sul netto rifiuto di liberalismo e democrazia. Agli inizi degli anni ’30, la rivista si radicalizza concentrandosi su alcuni punti programmatici: 1. L’orientamento verso Est (Prussia e Russia bolscevica); 2. Il ritorno alla terra, alla barbarie e alla primitività contadina. Il popolo tedesco se vuole ritrovare le proprie radici deve ritornare ad un’epoca pre-romana e pre-cristiana. Gli eventi successivi smentiranno le speranze di Niekisch che fu tenace oppositore del nazismo.
Nel 1935 Niekisch comincia a lavorare a quell’opera che verrà pubblicata solo nel 1953 con il titolo di Das Reich der niederen Dämonen. Il 22 marzo 1937, la rete clandestina messa in piedi da Niekisch viene smantellata ed egli stesso è arrestato dalla Gestapo e rinchiuso nella prigione di Brandeburg con l’accusa di “tentativo di alto tradimento”. Il processo si tiene nel gennaio 1939, sul banco degli imputati, oltre a Niekisch, si trovano altri 70 militanti nazionalbolscevichi: la pena più pesante viene pronunciata proprio nei confronti di Niekisch, il quale viene condannato all’ergastolo, alla confisca di tutti i beni e all’interdizione dei diritti civili. Venne arrestato e incarcerato nella prigione di Brandenburg sino al 27 aprile del 1945, giorno in cui liberato dalle truppe sovietiche, era diventato quasi completamente cieco e semiparalitico. Nell’estate del 1945 entra nel KPD che, dopo la fusione nella zona sovietica con l’SPD, nel 1946 si denominerà Partito Socialista Unificato di Germania (SED) e viene eletto al Congresso Popolare come delegato della Lega Culturale. Da questo posto difende una via tedesca al socialismo e si oppone dal 1948 alle tendenze di una divisione permanente della Germania. Nel 1947 viene nominato professore all’Università Humboldt di Berlino, e nel 1949 è direttore dell’“Istituto di Ricerche sull’Imperialismo”; in quell’anno pubblica uno studio sul problema delle élites in Ortega y Gasset. Niekisch non era, ovviamente, un “collaborazionista” servile: dal 1950 si rende conto che i russi non vogliono un “via tedesca” al socialismo, ma solo avere un satellite docile (come gli americani nella Germania federale). Coerentemente con il suo modo di essere, fa apertamente le sue critiche e lentamente cade in disgrazia; nel 1951 il suo corso è sospeso e l’Istituto chiuso. Nel 1952 ha luogo la sua scomunica definitiva, effettuata dall’organo ufficiale del Comitato Centrale del SED a proposito del suo libro del 1952 Europäische Bilanz21. Niekisch è accusato di idealismo e di irrazionalismo. Il colpo finale è dato dagli avvenimenti del 17 giugno del 1953 a Berlino, che Niekisch considera come una legittima rivolta popolare. La conseguente repressione distrugge le sue ultime speranze nella Germania democratica e lo induce a ritirarsi dalla politica. Da questo momento Niekisch, vecchio e malato, si dedica a scrivere le sue memorie. Muore nel 1967.
Budapest, il 5.7.64
Caro Signor Anders,
[…] I conformisti che si atteggiano da non-conformisti odiano appunto istintivamente tutte quelle persone che si oppongono realmente, e non in modo retorico, all’estraniazione e alla manipolazione. Perciò il caso del pilota rappresenta una questione tanto importante per il livello di moralità dei nostri giorni, e mi rallegra molto che Lei conduca questa battaglia così instancabilmente. Capisco perfettamente che, date queste circostanze, non Le resti tempo a disposizione per il caso Niekisch. Rimane tuttavia un peccato che non esca nemmeno un breve articolo di giornale firmato da Lei, perché questo caso è per il nostro tempo non meno caratteristico di quello del pilota.
Spero ci si possa incontrare in tempi brevi.
Con saluti cordiali
il Suo Georg Lukács.
***
Günther Anders, temporaneamente dalla Pensione Augustus, Laigueglia (Savona) 21.6.64
Caro signor Lukács,
[…] Sì, il caso Niekisch lo conosco un po’, Drexel mi ha spedito il suo libro22 sull’argomento. Ma per il momento sono talmente impegnato a difendere Eatherly da accuse infamanti che non mi posso occupare d’altro. Poiché non si è mai all’altezza della quantità di infamia che ci circonda, occorre fare delle scelte.
Cosa vuol dire il pensatore ungherese in dialogo con Anders quando afferma che questo caso è «per il nostro tempo non meno caratteristico di quello del pilota»? Lukács scrive che Niekisch ed Eatherly sono due casi paradigmatici del nostro tempo. La parabola biografica di Niekisch, che lo portò ad opporsi a tutte le “Germanie” di cui fece esperienza è in qualche modo speculare a quella del pilota di Hiroshima che denunciò, autoghettizzandosi, l’orrore di ciò che aveva fatto.
Alle radici dell’Etica
Proviamo a formulare una nostra ipotesi che potrebbe riassumersi in questi termini: Niekisch ed Eatherly sono vittime di esperienze traumatizzanti del secolo XX, incolpevolmente colpevoli, capaci, però, allo stesso tempo di tramettere un monito alle generazioni future. Il pericolo atomico è pari a quello rappresentato dai regimi totalitari di destra e di sinistra: ad essere stritolata è la vita umana, è l’uomo privato della libertà, della sua essenza e della sua esistenza. La radice di queste catastrofi è la Tecnica moderna che le ha prodotte e il capitalismo che ha finanziato l’industria degli armamenti e le guerre per espandersi sempre di più.
Per il filosofo tedesco «il ruolo mostruoso che l’arma atomica ha assunto ai nostri giorni non è stato un caso; anzi il mondo capitalistico – prima che la Russia sovietica lo eguagliasse – aveva salutato l’onnipotenza tecnica che quest’arma garantisce come un dono del cielo […] Hiroshima non era stata che un’azione di manovra»23. Anche per Niekisch, «abbattendo l’uno dopo l’altro i limiti posti dalla natura, la tecnica uccide la vita.[…] La tecnica fa sempre scempio del timore reverenziale che si prova al cospetto della vita, e divora l’uomo e tutto ciò che è umano. Il corpo dei viventi sono il combustibile di cui si avvale per riscaldarsi, e dal loro sangue trae il suo refrigerio»24. Questa è la vendetta della natura. Anche le guerre sono le espressioni grandiose e terribili della natura diabolica della tecnica. «Ed ecco che i gas asfissianti si effondono lentamente nell’aria consentendo senza alcuna fatica di soffocare a milioni donne e bambini nelle retrovie al di là del campo di battaglia»25. L’analisi di Niekisch è per certi versi di analogo tenore a quella andersiana quando si dovrà prendere atto che nella «fredda luce della tecnica le ultime riserve biologiche si fossilizzano, e si inaridiscono le energie di crescita e di riproduzione: essa pone rimedio suicidandosi alla violenza che le viene fatta, e la tecnica si riduce a festeggiare il suo trionfo tra montagne di cadaveri, sino al giorno in cui resterà soffocata dal loro stesso peso»26. L’ultimo Lukács probabilmente, anche per un rilancio teorico del marxismo, condivideva sia pure in maniera non esplicita queste considerazioni negative di Niekisch sulla tecnica moderna che determinavano l’estraniazione27 e l’impoverimento dell’umano e pensava non più ad una coscienza di classe ma ad una coscienza della specie. Il vecchio filosofo riteneva necessario un cambiamento categoriale di cui c’è traccia anche nel carteggio vista la crescente incompatibilità tra la produzione capitalistica con i suoi rivolgimenti scientifico-tecnologici e l’ambiente naturale. L’accumulazione capitalistica devasta le risorse naturali, quindi, è nemica della vita umana, non più soltanto delle masse operaie.
Del rivoluzionario tedesco, che contesta tutti i regimi presenti nella Germania del XX secolo di cui fece esperienza, Lukács apprezza il fatto che i suoi mutevoli orientamenti furono sempre il prodotto di una finalità etico-politica: garantire la liberazione della Germania alle reciproche influenze dell’Est e dell’Ovest. Questa contraddittoria e complessa parabola esistenziale interseca agli occhi del filosofo ungherese quella altrettanto problematica, fuori di ogni schema, del pilota americano Eatherly, “incolpevolmente colpevole”, estraneo in patria e ripudiato dall’establishment politico e militare del suo paese. Due personalità antitetiche e diversissime ma accomunate da un destino di emarginazione e di sradicamento. Eatherly denuncia l’orrore atomico che distrugge la vita e minaccia quella futura, Niekisch denuncia il totalitarismo che umilia la vita e le strappa la dignità e l’essenza.
Nietkisch e Etherlay sono emblematiche figure che non vengono usualmente raccontate e amplificate; forse per via della difficoltà di etichettarle, di inserirle in schemi o categorie fisse che ne facilitino, per l’opinione pubblica, la comprensione e la lezione: la realtà della lotta metafisica del ventesimo secolo, la lotta del Bene contro il Male (i totalitarismi e la denuncia del pericolo atomico che mette a rischio la sopravvivenza della specie): probabilmente il filosofo ungherese intravvede la somiglianza di due biografie esemplari ed estreme che, travolte dagli avvenimenti, assurgono a simboli per le generazioni a venire, data la eccezionalità della loro esperienza e una lezione per il futuro dell’umanità.
Sia Lukács sia Anders intuirono, infatti, nelle pieghe drammatiche dell’esistenza di Niekisch e di Eatherly le nuove sfide cui era chiamata l’umanità, e probabilmente ipotizzarono l’apertura di un grande cantiere dell’etica che non vollero probabilmente inaugurare o non vollero comunque andare fino in fondo a costruirlo. A loro così diversi e così lontani non sfugge, con buona probabilità, la possibilità per rifondare l’etica o quanto meno abbozzarla: suo presupposto è posizionarsi sul baratro e sull’abisso e sporgendosi da quella soglia, può profilarsi un’idea di umanità che, riscattatasi dalla vita offesa, comprenda sia il bene sia il male. Anders parla di ontologizzazione del bene e del male, e sottolinea che con «ontologizzazione voglio dire che espressione del bene e del male non sono le opere, le virtù o i vizi o le ortodossie o le eresie o l’esercizio o l’omissione del dovere o i sentimenti – etica che i più non hanno mai completamente interiorizzato –, ma espressione del bene e del male è l’essente: ad esempio, il paria che è considerato inferiore non per quello che fa o non fa, pensa o non pensa; il paria fa o non fa, pensa (o non pensa) in un certo modo e non altrimenti in quanto è considerato un paria […] Buono o cattivo appartengono dunque a quest’etica del rango dell’essere»28. Mai come in queste dolorose esistenze, l’etica si rivela dotata di senso quando stringe il suo indissolubile legame con le esperienze della vita. Il filosofo tedesco è consapevole dell’urgenza di reimpostare le cruciali questioni del bene e del male, della menzogna e della violenza che hanno toccato limiti di non ritorno. Ma sono appunti, frammenti, intuizioni folgoranti che vanno a comporre solo la cornice di quest’etica dell’essente, che rimarrà incompiuta. La svolta dopo il 1945 e la rapida fuga in avanti della storia, hanno spostato, come ha scritto Laura Boella in un lucidissimo saggio29, le questioni morali nella regione del “senza”. Lo scopo dell’etica è essere traumatizzati, «non è guarire ma essere lacerati»30 perché sparisce la distinzione tra il bene e il male e qualsiasi criterio per determinare la libertà e il dovere morale. Con buona pace di Kant, il suo imperativo categorico va in frantumi, perché dove «regna il dovere coatto non può esistere alcun dovere morale. L’ariano, in quanto tale, deve fare ciò che ha da fare. Viceversa l’ebreo, in quanto tale, deve soffrire come è tenuto a fare»31. I lager e la devastazione atomica hanno capovolto ogni criterio morale e ribaltato ogni automatismo dei nostri giudizi e dei nostri comportamenti.
abbiamo bisogno di lenti, e precisamente non di lenti d’ingrandimento, ma di lenti di rimpicciolimento […] rimpicciolire cioè la verità, inintelligibile per la sua smisuratezza, in modo che essa non ci estrometta del tutto32.
Anche per Lukács l’etica è la priorità assoluta del suo pensiero, tanto che era sua intenzione di scrivere un’etica marxista33 che potesse incardinare le categorie morali e le decisioni etiche nello sviluppo della realtà storico-sociale, un’etica dei valori umani e delle norme su base materialistica per l’autorealizzazione dell’uomo.
Nella filosofia pratica di Kant che rappresenta il momento più alto dell’etica borghese la vita morale risultava staccata dal mondo fenomenico e dalla vita sociale e le sue categorie risultavano inadeguate a comprendere il magma degli avvenimenti del XX secolo che avevano fatto saltare ogni regola dell’agire umano. «Lukács polemizza con l’etica kantiana, perché essa si mantiene sul piano del semplicemente formale» 34, incapace di funzionare sulla base di un impegno nella vita sociale.
L’aspetto più curioso e più paradossale è che i due pensatori, pur in un serrato confronto con Kant, e pur lasciandosi alle spalle l’eredità pesante dell’etica classica, non ebbero modo di scrivere una nuova etica, come abbiamo già rilevato, in contesti storico-politici più o meno coevi: il pericolo atomico, il pacifismo, i movimenti antinucleari etc. Ma [appare] ben chiaro ad entrambi la responsabilità sociale del filosofo che nell’epoca attuale è
la responsabilità per la guerra o per la pace. Ciò che prima era responsabilità di circoli relativamente piccoli, si è convertito adesso in questione dell’umanità. Specialmente negli ultimi tempi, le masse si sono convertite sempre più in semplici oggetti di guerra35.
Questo impone un ampliamento della responsabilità individuale e collettiva che deve «svegliare un potere sociale alternativo contro la guerra»36. Tali riflessioni che i due vecchi filosofi del secolo scorso elaborarono, nelle rispettive esperienze storico-politico-culturali, ritornano utili per una morale provvisoria del terzo millennio in cui si fa chiara la connessione profonda tra le questioni della pace, dell’ambiente, della giustizia internazionale, della sopravvivenza della specie umana come nuovi obblighi universali per l’eguale dignità di tutti gli uomini viventi e venturi. Da un altro verso, il crollo del socialismo reale e l’imprevista e sregolata capacità espansiva del capitalismo neoliberistico avrebbero determinato tra gli anni Settanta e Ottanta la crisi irreversibile del marxismo.
Dopo Kant, due terrificanti guerre mondali hanno imposto la necessità di ripartire dalla radice, di risalire a una formulazione più elementare e insieme più radicale, dell’imperativo categorico, come a quella che più si addice alla radicalità del male perpetrato o minacciato37.
L’imporsi del primato della ragione etica contro la negazione dell’umano e della sua dignità che dal punto di vista di Anders è opera della Tecnica mostruosa e smisurata e dal punto di vista di Lukács è opera del capitalismo selvaggio della contemporaneità, sembra accomunare i due pensatori di cui il carteggio è la prova più tangibile. Qui è possibile intravvedere un dialogo possibile, tutto ancora da scrivere, tra i due filosofi, separati da Marx ma uniti da Kant.
1 Il carteggio è ritornato meritoriamente in libreria con il titolo, L’ultima vittima di Hiroshima, a cura di Micaela Latini, Mimesis, Milano 2016. Pubblicata nel 1961 con il titolo Off limits für das Gewissen. Der Briefwechsel zwischen dem Hiroshima-Piloten Claude Eatherly und Günther Anders, a cura ed introduzione di Robert Jungk, 1961 (ristampata in Hiroshima ist überall, 1982); trad. it., La coscienza al bando. Il carteggio con Eatherly, Einaudi, Torino 1961. Nella prefazione del 1982 del testo Hiroshima ist überall, che conteneva la ristampa di questo carteggio, Anders si riferisce espressamente a due pubblicazioni, entrambe del 1964, fortemente critiche nei confronti della sua ricostruzione dell’intera vicenda di Eatherly, quella di Friedrich Torberg e quella dell’americano William Bradford Huie. A questo proposito vedi Georg Geiger, 1991 e Jurgen Doli, Günther Anders, la guerre froide et l’Autriche in AA.VV., Austriaca, 1992, pp.49-61.
2 G. Anders, L’ultima vittima di Hiroshima, cit., p.25.
3 G. Anders, I morti. Discorso sulle tre guerre mondiali, tr. it. di E. Mori, Edizioni Medusa, Milano 2018, p. 65.
4 Ivi, p. 26.
5 Ivi, p. 25.
6 Ibid.
7 Ivi, p. 33.
8 Ivi, p. 40.
9 Ivi, p. 41.
10 Ivi, p. 50.
11 Ivi, p. 77.
12 G. Anders, I morti. Discorso sulle tre guerre mondiali, p.66.
13 G. Anders, L’ultima vittima di Hiroshima, cit., p.26.
14 Ivi, p. 126.
15 G. Anders, Dopo Holocaust, 1979, di S.Fabian, Bollati Boringhieri, Torino 2014, p. 52.
16 L. Boella, Il coraggio dell’etica. Per una nuova immaginazione morale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012, p. 32.
17 Ivi, p. 83.
18 Ivi, p. 34.
19 La situazione della storiografia riguardante il pensiero e la figura di Niekisch è piuttosto complessa e rimanda al più ampio dibattito intorno al “nazionalbolscevismo”. Nel corso del 1919, Karl Radek utilizza questa espressione in senso dispregiativo per riferirsi all’ideologia nazional-comunista di Heinrich Laufenberg e Friedrich Wolffheim, i quali sostenevano la necessità di coniugare lotta di classe e liberazione nazionale e auspicavano un compromesso tra borghesia e proletariato per il bene della Germania, trad. it. p. 308. Inoltre, nell’aprile dello stesso anno appaiono sul giornale Der Tag [Il giorno] tre articoli scritti dal professore nazionalista Paul Eltzbacher (1868-1928), poi raccolti in una “brochure” pubblicata in giugno con il titolo Der Bolschewismus und die deutsche Zukunft [Il bolscevismo e il futuro tedesco], identificati dallo storico Louis Dupeux come il primo documento nazionalbolscevico. Al suo interno, Eltzbacher vede nel bolscevismo l’unica e la più efficace reazione al sistema di Versailles e perciò afferma la necessità di un’alleanza tra la Germania sconfitta e la Russia comunista. Si veda: Dupeux (1979), vol. I, pp. 49-59. Per approfondire Cfr. AA.VV., Nazionalcomunismo. Prospettive per un blocco eurasiatico. Ed. Barbarossa, Milano 1996; E. A. Mohler, La Rivoluzione Conservatrice. Ed. Akropolis, Firenze 1990.
20 W. Laqueur, La Repubblica di Weimar, tr, it. di L. Magliano, BUR, Milano 2002, p. 238.
21 E. Niekisch, Europäische Bilanz, Rütten & Loening, Potsdam 1951. In traduzione italiana si rimanda ai seguenti testi: Niekisch, Est & Ovest. Considerazioni in ordine sparso, Ed. Barbarossa Milano 2000. Id., Il regno dei demoni. Panorama del Terzo Reich, Feltrinelli Editore, Milano 1959.
22 J. Drexel, Der Fall Niekisch. Eine Dokumentation, Köln-Stuttgart, Kiepenheuer & Witsch, 1964.
23 G. Anders, I morti. Discorso sulle tre guerre mondiali, Edizioni Medusa, Milano 2018, p.17.
24 E. Niekisch, Est e Ovest. Considerazioni in ordine sparso, Editrice Barbarossa, Milano 2000, pp.149-150.
25 Ivi.
26 Ibid., p. 152.
27 Si rinvia per un approfondimento della categoria dell’estraniazione al saggio di A.Infranca, L’Estraniazione nell’Ontologia dell’essere sociale, in “Il pensiero storico”. Rivista Italiana di Storia delle Idee, n.01, 2016 pp. 40-53.
28 G. Anders, Dopo Holocaust, pp.72-73.
29 L. Boella, Il coraggio dell’etica, p. 20.
30 Ivi, p. 42.
31 Ivi, p. 76.
32 Ivi, p. 64.
33 Cfr. G. Lukács, La responsabilità sociale del filosofo (a cura di A. Infranca e Miguel Vedda, Asterios, Trieste 2017, p. 11. Questo scritto lukacsiano dovrebbe risalire, come sostengono i due curatori, per lo stile dell’argomentazione al periodo pre-56.
34 Ivi, p. 14.
35 Ivi, p. 70.
36 Ivi, p. 72.
37 G. Prestipino, Realismo e Utopia, Editori Riuniti, Roma 2002, p.121.