Intervista sul congresso del P.C.U.S.

di György LukácsRenato Nicolai

«l’Unità», 5 maggio 1956


Lukács è fra gli uomini più attivi che io abbia conosciuto. Quando discutiamo, qui in Italia e altrove nell’occidente, dei significati retrospettivi e anticipatori del XX Congresso del PCUS, e quando ci preoccupiamo, con passione e sincerità, di capire quali esigenze nuove essi pongano, o quali ampliamenti essi richiedano del nuovo che già era nel nostro movimento, noi facevamo un onesto e meritevole sforzo di attualizzazione delle nostre idee e dei nostri metodi di lavoro e di lotta. Ebbene, se queste cose per noi sono di recente storia, per Lukács sono state preoccupazioni dei tempi nei quali si è svolta la sua vita di pensatore e di uomo. Numerose, particolarmente in certi anni, furono le critiche aspre e diffidenti, che riguardarono la sua posizione di filosofo e di combattente. Oggi queste ombre Lukács sembra essersele lasciate alle spalle. Parlando con lui si ha la conferma della forza che viene oggi alle nostre posizioni da un atteggiamento di coraggiosa verità, e si avverte quella potentissima sensazione di cose nuove che oggi è nel cuore di ogni operaio e di ogni socialista. Così, attraverso alcuni colloqui, abbiamo potuto porre a lui numerose domande per l’Unità e per Vie Nuove, sulle questioni cui già si è accennato, e sui problemi del realismo, ai quali Lukács ha dato le seguenti risposte:

«Non vi è dubbio che Stalin è stato un forte pensatore marxista, ma sarebbe anche un errore ritenere che quanto egli ha scritto, si alcuni problemi, possa considerarsi come qualcosa di definitivo. Io, ad esempio, ho sempre avuto forti dubbi sui suoi scritti economici e considero teoricamente deboli alcune tesi affermate negli articoli sulla linguistica, specie per quel che riguarda la spiegazione che viene data della reciproca influenza tra base e sovrastruttura. Su tali questioni ho pubblicato uno scritto nel 1932. Bisogna inoltre rilevare che, durante il periodo staliniano, la filosofia marxista troppo spesso è stata intesa come una teoria ormai acquisita, chiusa a numerose domande che la la filosofia tradizionale ha lasciato senza risposta o alle quali è stata data una spiegazione imperfetta e per noi insoddisfacente. Noi dobbiamo ancora dare una risposta ai problemi dell’etica, dell’estetica e della logica, per creare nella coscienza dell’uomo moderno quella integralità del processo di conoscenza che è caratteristica del marxismo. Io credo che ogni Paese, oggi, ogni partito comunista potranno dare un loro originale e specifico contributo all’arricchimento di questi temi del marxismo. Credo anche che sia compito fondamentale dei partiti comunisti stimolare tutte quelle iniziative che diano nuovo impulso creativo nei più diversi settori della ricerca marxista. Il vostro partito, il partito comunista italiani, che può valersi della esperta guida del compagno Togliatti, uno tra i più esperti dirigenti del movimento operaio internazionale, e che può attingere alla preziosa eredità di pensiero di Niccolò Machiavelli, di Giordano Bruno e di Antonio Gramsci, deve poter dare un contributo maggiore che non altri partiti. Infatti i vari partiti comunisti hanno reagito agli orientamenti del XX Congresso secondo la ricchezza delle loro esperienze e del loro sviluppo, per cui, ad esempio, il partito operaio polacco si è trovato in condizioni di più ampia libertà di acquisizioni che non altri partiti di Paesi socialisti.

Per quanto concerne la narrativa sovietica, credo abbia particolarmente nociuto l’esagerata e forzata affermazione della prospettiva, in rapporto al reale e graduale sviluppo della realtà.

Nella maggior parte dei romanzi sovietici è coartato il graduale sviluppo della realtà. Per cui vengono sacrificate le insopprimibili contraddizioni tra il vecchio e il nuovo, non vengono descritte le resistenze all’affermarsi di una nuova concezione della vita, e viene a soffrire ciò che è artisticamente tipico. Vi sono scrittori sovietici particolarmente dotati eppure i loro romanzi soffrono di tali difetti poiché subiscono la spropositata affermazione della prospettiva che nell’Unione Sovietica era diventata regola dominante sull’autentico sviluppo del reale. Dobbiamo invece adottare una maggiore modestia nel rappresentare i limiti della realtà, e, in questo senso, resta per noi un modello buona narrativa il romanzo di Šolochov, Il placido Don, che racchiude le vicende dei suoi personaggi negli anni e nelle caratteristiche del periodo post-rivoluzionario, senza forzatamente proiettarla verso soluzioni impossibili e ingiustificatamente anticipate.

Io non ho mai capito, inoltre, perché nel passato di ogni romanzo sovietico si dovessero tessere elogi assoluti e ingiustificati, il che andava a scapito delle opere più convincenti della narrativa sovietica. Non ho mai condiviso, infine, l’affermazione secondo cui il realismo può essere un portato esclusivo del campo socialista e del movimento operaio, e che la borghesia non abbia nulla da dire in questo senso. Certamente, il realismo della borghesia non è il nostro, ma non è nemmeno della borghesia, che in esso ha un nemico nella sua stessa casa. Io non conosco in modo approfondito le opere dei migliori scrittori contemporanei, mentre conosco bene i romanzi di Moravia. Pur non potendo dare un giudizio equanime e fondato a me pare che Moravia sia tra i più dotati scrittori, e tra i più convincenti esponenti del realismo critico.

Per quanto riguarda l’esigenza, da voi posta, che il realismo estenda il suo sguardo, più di quanto si sia fatto negli ultimi anni, non soltanto alle condizioni di vita, ai tempi della classe operaia, ma anche a quelle di altri strati sociali come la piccola, media e grande borghesia, io credo che tali esigenze sono profondamente connaturate al realismo, anche se esse negli ultimi anni sono rimaste alquanto […te]. Se il realismo vuol essere veramente universale non può essere immediatamente operaistico, esso deve estendere il suo sguardo anche oltre il mondo operaio, e saper valutare quei fermenti critici che provengono dalla borghesia.

Concludendo, io penso che i problemi del marxismo debbano essere posti con molta chiarezza, e che i partiti comunisti debbano sviluppare al massimo le loro forze creative nell’arte, nella scienza, nella filosofia, per conferire al nostro movimento quella ampiezza ideale e politica che oggettivamente gli spettano».

Di altre cose si è parlato con Lukács, ma il col[…] lo rimandiamo ad altra occasione.

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