Lukács, un eretico senza rogo

di Federico Argentieri e Antonino Infranca

«Corriere della sera» 30 maggio 2021


Il pensatore ungherese scomparve 50 anni fa: fu sempre comunista, pur con atteggiamenti critici. Isolato ma non perseguitato, anche dopo avere partecipato alla rivoluzione del ’56, oggi viene svalutato dalla destra di Orbán

Fino a qualche decennio fa, György Lukács – di cui il 5 giugno ricorre il cinquantennale della morte – era considerato uno dei maggiori filosofi del Novecento, poi il crollo del socialismo realizzato e il generale disinteresse verso il marxismo gli hanno fatto perdere immeritatamente l’importanza che aveva raggiunto. Rispetto ad altri autori, però, Lukács vanta una particolarità: era un pensatore di grande livello prima ancora di diventare marxista. Nato il 13 aprile 1885 in una famiglia dell’alta borghesia ebraica di Budapest il padre József, direttore del Banco Anglo-Ungherese, era uno degli uomini più ricchi del Paese – il giovane Lukács sentiva il vuoto di valori etici della classe sociale a cui apparteneva e se ne sentiva estraneo, andando, quindi, alla ricerca di alternative. Da questa consapevolezza nascono molte riflessioni di Lukács che troveranno sbocco nella sua adesione al marxismo. E che manifestano già una maturità teorica straordinaria. Le sue riflessioni giovanili furono indirizzate verso l’arte, nella speranza di un’emancipazione della società civile ungherese dalle forme culturali e spirituali feudali che ancora vi dominavano.

Nel corso della sua incipiente attività di critico letterario ed artistico emersero due aspetti caratteristici: la partigianeria e l’opzione per l’oggettività. Nel marxismo il giovane Lukács vedeva dei canoni interpretativi non ambigui, che permettevano una presa di posizione netta, e un prendere parte a un confronto tra vero e falso, tra giusto e sbagliato. Non un soggettivismo, che può scadere nell’opinabile, ma continuità, costanza delle cose, al di là del mutabile spirito soggettivo.

Il desiderio di un’emancipazione spirituale passò anche in una ricerca personale, individuale, soggettiva, mistica e, allo stesso tempo, idealistica che trovò espressione nel libro L’anima e le forme, che gli diede la prima notorietà fuori dell’Ungheria. Si notava, però, che la lotta, di cui parlava qualche anno prima, era diventata interiore: Lukács dovette fare i conti con sé stesso prima che con l’ambiente in cui viveva. Non a caso, lasciò l’Ungheria e rifiutò una storia d’amore con Irma Seidler che lo avrebbe costretto a rimanere a Budapest, ad abbandonare la speculazione per conciliarsi con la vita. Il suicidio di Irma, delusa dal rifiuto, fu una scossa terribile. In Lukács si notava l’abbandono di motivi idealistici, dettati dall’interiorità, e iniziava la riflessione su temi oggettivi, concreti.

La guerra mondiale lo spinse all’adesione al movimento comunista, nel dicembre 1918. Quello ungherese fu il primo partito a costituirsi al di fuori dello spazio russo, prima che Lenin fondasse a Mosca l’Internazionale comunista (Comintern) il 21 marzo 1919, il giorno stesso in cui iniziò in Ungheria il governo della Repubblica dei Consigli operai, in cui Lukács fu commissario del popolo alla Pubblica Istruzione e commissario politico di un reparto dell’esercito rosso. Dopo l’intervento straniero e la caduta della Repubblica, riparò a Vienna, dove visse fino al 1929 continuando sia il lavoro intellettuale – vi scrisse tra l’altro Storia e coscienza di classe, che fece epoca e tuttora è considerata un classico – e continuò l’attività nel partito comunista esiliato, culminata nelle «Tesi di Blum», che criticavano da posizioni assai più moderate la svolta estremista di Stalin.

Vistosi rifiutare il prolungamento del soggiorno in Austria, temendo di essere riconsegnato all’Ungheria dove pendeva su di lui una condanna a morte, Lukács riparò in Urss, unico Paese che non lo avrebbe estradato. Qui riuscì a sopravvivere per ben 16 anni (interrotti dal biennio berlinese 193133) senza eccessivi problemi, tranne un interrogatorio nel 1941, dopo che l’Ungheria si era unita all’invasione nazista. Si dedicò al lavoro intellettuale, scrivendo tra l’altro opere note come Il romanzo storico, pubblicato per la prima volta in russo, e Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica, uscito a Zurigo nel 1948 in tedesco. Rientrato in patria «nei furgoni dell’Armata rossa sovietica», dal 1945 Lukács si dedicò all’organizzazione culturale come titolare della cattedra di Filosofia dell’Università di Budapest, pur continuando l’attività nel partito comunista, che nel 1948 effettuò una fusione forzata con i socialdemocratici instaurando la dittatura: ciò non tardò ad avere effetti sulla sua attività, che venne tacciata di essere non conforme ai dettami del realismo socialista e pertanto duramente criticata. Come racconta il suo allievo István Mészaros nell’eccellente libro La rivolta degli intellettuali in Ungheria (Einaudi, 1958), il maestro fu di fatto zittito ma in compenso allevò una generazione di grandi cervelli, da Ágnes Heller al critico musicale Dénes Zoltai e allo stesso Mészáros, riparato in Italia dopo la rivoluzione del 1956, ma presto ripartito per l’Inghilterra, anche in seguito all’ostracismo esplicito del Pci nei suoi confronti.

La morte di Stalin, il primo governo Nagy e la denuncia di Krusciov parvero promettere una stagione di rinnovamento: l’ormai settantunenne filosofo si impegnò pienamente nelle attività del Circolo Petőfi, i cui dibattiti anticiparono la rivoluzione dell’autunno 1956, durante la quale Lukács accettò di ricoprire incarichi ministeriali in tutti e tre i governi Nagy e il partito comunista fu sciolto e rifondato per la terza volta nel tentativo di recuperare credibilità. Il 1° novembre 1956, mentre il nuovo ordine democratico con venature socialiste si stava consolidando, giunse la notizia dell’arrivo di truppe sovietiche. Il comitato direttivo del nuovo partito, compreso il segretario Kádár, votò a favore del ritiro dal Patto di Varsavia, mentre Lukács e un altro dirigente si opposero. La sera stessa Kádár partì per Mosca e tornò tre giorni dopo con i carri sovietici, mentre i membri del governo Nagy si rifugiavano con i famigliari nell’ambasciata jugoslava.

Attirati fuori con la falsa promessa di un salvacondotto, furono tutti deportati in Romania, da cui Lukács tornò quattro mesi dopo al prezzo di una lettera con cui riconosceva la legittimità del governo Kádár: rifiutò però di testimoniare contro i suoi compagni, alcuni dei quali finirono sulla forca. Anzi nell’autunno 1957 chiese al suo amico e traduttore italiano Cesare Cases di adoperarsi per una sentenza mite al processo contro Tibor Déry ed altri scrittori; molti intellettuali del Pci la scrissero e la firmarono una lettera in tal senso, mentre Togliatti incontrando Kádár a Mosca il 10 novembre gli riferì dell’attività «sobillatrice» di Lukács. La spiata non ebbe conseguenze, ma il filosofo visse per una decina d’anni in una situazione di semi-ostracismo, continuando però i suoi studi di etica, estetica e critica letteraria, tra cui spiccava un lungo saggio in tedesco, tradotto in italiano da Fausto Codino e pubblicato nel 1964 dalla rivista «Belfagor», su Una giornata di Ivan Denisovič di Aleksandr Solzenitsyn.

Riconciliatosi col regime nel 1967 e entrato per la quarta volta nel partito, Lukács fece in tempo a formare una nuova generazione di allievi e a subire una nuova, cocente delusione politica, derivante dall’invasione della Cecoslovacchia nell’agosto 1968, per morire nel 1971.

A partire dalla prima vittoria elettorale di undici anni fa, l’attuale governo ungherese di Viktor Orbán ha teso in vari modi a sminuirne il valore, contraddittorio ma fecondo tanto nel campo culturale – di statura indiscussa – che in quello politico. Impresa destinata al fallimento, forse neanche nel lungo periodo.

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Un pensiero su “Lukács, un eretico senza rogo

  1. Non condivido.in niente quanto scritto da Argentieri su Lukacs !
    La vittoria del controrivoluzionario Orban, e’ la logica conseguenza di un marxismo leninismo dimidiato ,tale da non coniugare la specificità culturale magiara con la ferrea egemonia politica del Partito.Comunista:come già sostenuto nei confronti di Lukacs ,dai migliori.esponenti del.Posu!

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