I testi>Ontologia dell’essere sociale
La sobrietà e lucidità di Hartmann appaiono già al momento di affrontare la questione della conoscenza ontologica. Mentre le impostazioni ontologiche tradizionali per secoli hanno avuto in sostanza carattere teologico (oppure hanno espresso una teologia secolarizzata, come abbiamo potuto vedere in Heidegger), il punto di partenza e l’obiettivo di Hartmann sono del tutto immanenti. Se vuol avere una funzione filosoficamente fondativa nell’odierno ambito della conoscenza, l’ontologia deve salire dalla vita, dalla vita quotidiana degli uomini, senza perdere mai questo collegamento con i modi elementari d’esistenza, deve essere capace di farsi ascoltare come una voce sobria e critica anche, anzi proprio, quando si tratta delle questioni più complesse, più sottili, della conoscenza. L’ontologia non è, dunque, per Hartmann il risultato finale metafisico della filosofia, come era ancora nei secoli XVII e XVIII, ma viceversa la sua base dal lato della realtà e, per conseguenza, il controllo permanente di ogni conoscenza o attività umana, appunto il metro per misurare quanto i loro risultati si adattino alla realtà stessa, quanto i loro metodi siano in grado di incidere sulla realtà. Cosicché, la svolta ontologica della filosofia, nella misura in cui essa, come in Hartmann, è autentica e non si tratta invece, come nella fenomenologia, di qualcosa che vuol integrare in termini soggettivistico-irrazionalistici l’impostazione gnoseologica dei secoli XIX e XX, costituisce un attacco frontale contro l’antiontologismo del primato della teoria della conoscenza, che in Kant ha trovato la sua forma più prestigiosa, classica. Per cui il contrasto non si riduce a chi assegnare il posto centrale filosofico, se all’ontologia o alla gnoseologia, ma concerne anche il punto di partenza: se partire dall’«alto» o dal «basso». Continua a leggere →