I problemi del socialismo nel nostro tempo

di György Lukács

«l’Unità», 11 giugno 1968


[La versione completa dell’intervista è stata poi raccolta in volume in Il marxismo nella coesistenza, Editori Riuniti, Roma 1968, con lo stesso titolo del volume che la contiene]

L’intervista di Lukács al «Contemporaneo» di Budapest

Nel numero di maggio della rivista letteraria ungherese Kortárs (Contemporaneo) è apparsa — ripubblicala poi nel suo testo integrale su Rinascita del 31 maggio — una intervista di grande interesse culturale e politico del compagno György Lukács, uno dei più grandi filosofi marxisti viventi. Ne riportiamo qui in largo estratto i punti essenziali.

Dopo il ventesimo congresso la politica americana è stata costretta a riconoscere che la politica del roll-back, tendente all’annullamento dei risultati della guerra mondiale con l’esibizione della supremazia militare, è fallita e che a causa del patto atomico occorre cercare un certo tipo di pacifica convivenza con l’Unione Sovietica per un periodo più o meno lungo. Nasce da ciò una situazione del tutto particolare; da una parte l’accordo atomico rende la guerra estremamente improbabile, dall’altra continuano a sussistere tutte le possibili cause della guerra.

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Perché tanta violenza

«Corriere della sera», 2 gennaio 1971


Corriere: Come spiega il fenomeno della violenza nel mondo contemporaneo?

Lukács: La risposta è difficile. Io direi che è un pregiudizio considerare il fenomeno della violenza come qualcosa di estraneo all’umanità. La violenza da una parte è qualcosa di intrinseco all’umanità, da un’altra parte è sempre presente dove non esiste il diritto: per eliminare le cause della violenza occorre tenere conto anche di questo duplice aspetto, se si vogliono regolare i problemi della società. Io direi che la violenza in certi casi è un fenomeno storicamente positivo, in altri casi è un fenomeno negativo. Occorre dunque giudicare caso per caso. La presente ondata di violenza nel mondo deve essere analizzata sia per zone geografiche sia per cause, perché all’origine di zona in zona esistono situazioni obiettive diverse.

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Prima la democrazia, poi la riforma economica

di György Lukács, con János Brener, Georg Klös, Kalman Petković

«Neues Forum», 195/II, marzo 1970

[Questo è il testo completo da cui è tratta la sintesi che il «Corriere della sera» dava il 7 aprile 1970 e pubblicata qui. Si tratta della seconda parte di un’intervista più ampia, la cui prima parte pubblicheremo prossimamente]


Spesso si pensa che il sistema di autogestione dei lavoratori sia una scoperta specifica della Jugoslavia. Non appartiene forse più in generale al concetto di socialismo?

In ogni caso, l’autogestione dei produttori è uno dei problemi più importanti del socialismo. L’autogestione si oppone sia allo stalinismo sia alla democrazia borghese, il cui meccanismo è stato descritto da Marx già negli anni Quaranta. Questo meccanismo si basa sulla contraddizione tra il citoyen, che era un idealista, e il bourgeois, che era un materialista. Lo sviluppo del capitalismo porta il bourgeois a diventare il padrone, il citoyen il suo servitore ideologico. Al contrario, lo sviluppo socialista, prima nella Comune di Parigi, poi nelle due rivoluzioni russe, spinge verso la democrazia dei consigli. Democrazia consiliare significa democrazia nella vita quotidiana. L’autogoverno democratico dovrebbe essere esteso al livello più semplice della vita quotidiana e da lì diffondersi verso l’alto, in modo che alla fine il popolo decida davvero sulle questioni più importanti. Attualmente siamo solo all’inizio di questo sviluppo. Ma le nuove pratiche sviluppate in Jugoslavia contribuiranno senza dubbio alla rivoluzione dei consigli operai in circostanze diverse su ogni strada verso il socialismo.

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Sono un isolato

di György Lukács

«Corriere della sera», 17 febbraio 1970



Corriere: Lei vede sviluppi positivi nel marxismo degli ultimi cinquant’anni?


Lukács: È difficile rispondere. Posso però dire che è stato trascurato uno studio approfondito, scientifico, del marxismo. Ritengo possibile un rinnovamento del marxismo soltanto con uno studio critico, appunto su basi scientifiche, delle opere di Marx, ciò che non è stato mai fatto negli ultimi ottant’anni.

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Intervista sul congresso del P.C.U.S.

di György LukácsRenato Nicolai

«l’Unità», 5 maggio 1956


Lukács è fra gli uomini più attivi che io abbia conosciuto. Quando discutiamo, qui in Italia e altrove nell’occidente, dei significati retrospettivi e anticipatori del XX Congresso del PCUS, e quando ci preoccupiamo, con passione e sincerità, di capire quali esigenze nuove essi pongano, o quali ampliamenti essi richiedano del nuovo che già era nel nostro movimento, noi facevamo un onesto e meritevole sforzo di attualizzazione delle nostre idee e dei nostri metodi di lavoro e di lotta. Ebbene, se queste cose per noi sono di recente storia, per Lukács sono state preoccupazioni dei tempi nei quali si è svolta la sua vita di pensatore e di uomo. Numerose, particolarmente in certi anni, furono le critiche aspre e diffidenti, che riguardarono la sua posizione di filosofo e di combattente. Oggi queste ombre Lukács sembra essersele lasciate alle spalle. Parlando con lui si ha la conferma della forza che viene oggi alle nostre posizioni da un atteggiamento di coraggiosa verità, e si avverte quella potentissima sensazione di cose nuove che oggi è nel cuore di ogni operaio e di ogni socialista. Così, attraverso alcuni colloqui, abbiamo potuto porre a lui numerose domande per l’Unità e per Vie Nuove, sulle questioni cui già si è accennato, e sui problemi del realismo, ai quali Lukács ha dato le seguenti risposte:

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Tutti i dogmatici sono disfattisti

di György Lukács

«Rinascita», n. 13, 29 marzo1968. [L’intervista è stata rilasciata originariamente alla rivista culturale praghese Kulturní noviny e poi tradotta in italiano per «Rinascita», che non specifica però il nome dell’intervistatore]


D. Recentemente, compagno professore, lei ha espresso l’opinione che negli ultimi tempi si sta creando nel mondo una situazione molto favorevole al crescente influsso dell’ideologia marxista. Mentre nell’Occidente si diffonde l’interesse per il marxismo e per la sua positiva comprensione, noi non ci rendiamo nemmeno sufficientemente conto, lei ha detto, di quanto profondamente potremmo influire sull’evoluzione del mondo capitalistico, se fossimo al necessario livello per esempio nella filosofia, nella letteratura, nella cinematografia, nella musica ecc. Che cosa impedisce secondo il suo giudizio, come dunque dovremmo progredire, affinché in avvenire noi ci avviciniamo a quel necessario livello?

Lukács. Innanzitutto dobbiamo partire dal riconoscimento del fatto che per trent’anni il marxismo è ristagnato, che nel periodo in cui Stalin stabiliva che cosa era il marxismo e che cosa il marxismo non era, per anni e purtroppo generalmente furono riconosciute come scientifiche anche molte vere e proprie sciocchezze. Dapprima dunque deve essere di nuovo restaurato il marxismo. Quanto tempo questo processo richiederà, se si svolgerà lentamente oppure rapidamente, non possiamo giudicarlo in anticipo. Abbiamo oggettive possibilità di rinascita del marxismo, sono in gioco però anche condizioni soggettive. Dipenderà dal fatto se il partito promuoverà lo sviluppo del marxismo, oppure se gli porrà degli ostacoli. È una questione che non possiamo valutare in generale — è differente nei vari paesi. Noi supponiamo che, per esempio, i compagni cecoslovacchi stiano per l’appunto attraversando una svolta degna di rilievo, e diverse cose attestano che lo sviluppo del marxismo può avere in Cecoslovacchia condizioni più favorevoli sotto Dubček di quanto non siano state sotto Novotný.

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L’arte moderna e la grande arte

di György Lukács

«Rinascita-Il Contemporaneo» n. 9, 27 febbraio 1965


Il dialogo con György Lukács che qui riportiamo, si è svolto a Budapest il 7 febbraio 1965. Nel riferire le dichiarazioni rilasciate dalla studioso ungherese, usiamo volutamente una forma discorsiva. Dipende da due motivi. Anzitutto molte risposte hanno, per ammissione dello stesso Lukács, il valore di una prima approssimazione ai problemi che il marxismo si pone oggi in tutti i paesi e in tutti i partiti comunisti. È un contributo, cioè, che lo stesso Lukács considera provvisorio, almeno per quanto riguarda le formulazioni delle proposte da lui fornite. Inoltre dobbiamo avvertire i nostri lettori che alcune affermazioni troppo recise (come i giudizi sulle esperienze letterarie e artistiche contemporanee o la professione di fede «antimodernista») erano pronunciate non senza qualche sfumatura di ironia o di auto-ironia che diventa difficile far balenare in un testo scritto. Per riprodurre almeno in parte il tono di vivacità che il nostro interlocutore ha voluto usare durante il colloquio, abbiamo pensato di riferire le sue dichiarazioni nella forma più diretta.

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Rivoluzione e psicologia della vita quotidiana 

di György Lukács

[Rivoluzione e psicologia della vita quotidiana è il testo di un’intervista realizzata a Lukács da András Kovács pubblicata su “Film Kúltura” e poi in italiano su “Cinema nuovo”, n. 217, maggio-giugno 1972.]


Nel 1919, durante la Repubblica ungherese dei consigli, lei partecipò al governo e, come commissario del popolo, per primo nella storia nazionalizzò la cinematografia. Quali ricordi ha di quell’avvenimento? 

Ho pochissimi ricordi. Non possiamo dimenticare che la storia della dittatura del proletariato venne scritta, in genere, in modo stalinista. Sotto questo aspetto si pretendeva una specie di potente sovrano, molto intelligente, in grado di mettere a posto tutto. In realtà non ero assolutamente un tale sovrano. Nella dittatura proletaria del 1919, mio unico merito fu quello di far intervenire, nell’ambito del Commissariato del popolo, con un ruolo di guida, i dirigenti di tutte le correnti progressiste nei vari campi, dall’insegnamento alla musica. Se lei ora mi volesse chiedere chi ha nazionalizzato il cinema, dopo cinquant’anni non potrei proprio rispondere. Personalmente mi occupavo molto di particolari questioni – istruzione pubblica, università, letteratura, arte – ma, le confesso, so pochissimo di quanto è avvenuto nel campo cinematografico. Non si può dimenticare, naturalmente, che nel 1919, il peso del cinema nella vita artistica e culturale era molto minore di quello di oggi. 

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L’anima e l’azione. Scritti su cinema e teatro

La prima antologia in italiano degli scritti di György Lukács sullo spettacolo riunisce le pagine più importanti della riflessione del filosofo ungherese su alcuni dei nodi cruciali delle estetiche novecentesche: la crisi del dramma, la separazione tra forme teatrali e drammaturgiche, la nascita della regia, l’emergere delle esperienze postdrammatiche, l’origine e l’ontologia del cinema. Scritti nel corso di più di mezzo secolo, i testi di Lukács ripercorrono criticamente l’evoluzione dei cinema e del teatro nel passaggio dal classico al moderno, dalle rivoluzioni delle avanguardie storiche a quelle delle neoavanguardie. Messa da parte ogni lettura ideologica, attraverso un percorso di storicizzazione e riattualizzazione, il volume offre al lettore uno strumento indispensabile di comprensione del presente, riscoprendo la straordinaria, e per certi versi sorprendente, modernità del pensiero di Lukács.

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Lukács sulla sua vita e la sua opera

di György Lukács

a cura di Perry Anderson

Intervista del 1969, pubblicata in “New Left Review”, n. 68, July-August 1971, pp. 49-58.

da Lukács parla. Interviste (1963-1971), a cura di A. Infranca, Edizioni Punto Rosso, Milano 2019.


Anderson – I recenti eventi in Europa hanno posto ancora una volta il problema della relazione del socialismo con la democrazia. Quali sono le fondamentali differenze per Lei tra democrazia borghese e democrazia socialista, rivoluzionaria?

Lukács – La democrazia borghese data dalla Costituzione francese del 1793, che è la sua più alta e radicale espressione. Il suo principio fondamentale è la divisione dell’uomo nel citoyen della vita pubblica e il bourgeois della vita privata – l’uno dotato di diritti politici universali, l’altro espressione di interessi particolari ed economicamente ineguali. La divisione è fondamentale per la democrazia borghese come fenomeno storicamente determinato. Il suo riflesso filosofico si deve trovare in Sade. È interessante che scrittori come Adorno si siano occupati di Sade, a causa del fatto che egli è l’equivalente filosofico della Costituzione del 1793. Continua a leggere