Dialettica dell’irrazionalismo

di Enzo Traverso

da Dialettica dell’irrazionalismo. Lukács tra nazismo e stalinismo, Ombre Corte, Verona 2022


Paradossalmente, ciò che manca ne La distruzione della ragione è l’irrazionalismo nazista. Dopo aver dedicato centinaia di pagine a spiegare come la maggior parte delle correnti della filosofia tedesca si fossero così profondamente allontanate dall’eredità dell’Aufklälrung, il libro non cerca di studiare la loro incorporazione in una nuova forma razzista e imperialista di irrazionalismo. Non dedica alcun capitolo alla Weltanschauung nazista, che viene quasi ignorata ad eccezione, come abbiamo visto, di alcune citazioni tratte da Der Mythus des zwanzigsten Jahrhunderts di Alfred Rosenberg. Lukács insiste fin dall’inizio sul fatto che, invece di seguire una dinamica interna e “immanente”, la storia dell’irrazionalismo dovrebbe essere messa in relazione con alcune tendenze strutturali del capitalismo tedesco, ma non sembra molto interessato ad analizzare il modo in cui nichilismo, anti-umanesimo, razzismo, nazionalismo e imperialismo siano infine confluiti in una nuova ideologia sincretica. Egli segue il percorso del razzismo europeo da Gobineau a Rosenberg, passando per Gumplowicz, Woltmann e Chamberlain, cioè da un razzismo contemplativo a un razzismo “rigenerativo” che accoglieva le istanze del darwinismo sociale, ma non esamina la nascita di una nuova teoria razziale fondata sul “nordicismo”, l’eugenetica e una nuova concezione geopolitica – biologista e vitalista – dello “spazio vitale” (Lebensraum). Così, i nomi di Hans Günther, il pensatore ufficiale del razzismo nazista (Rassenkunde), Karl Haushofer, il geografo che teorizzò l’espansionismo tedesco in Europa orientale, e Friedrich Ratzel, il geografo del XIX secolo che forgiò il concetto di “spazio vitale”, non appaiono nel libro di Lukács. In generale, sia l’antisemitismo che il colonialismo svolgono un ruolo molto limitato nella sua argomentazione. Mein kampf è menzionato due volte, di passaggio, senza citazioni, come manifesto politico privo di reali connessioni con le teorie dell’irrazionalismo. Sul piano ideologico, sostiene Lukács, il nazismo quasi non esisteva; non fece altro che coagulare le idee dominanti in un programma d’azione. I progetti dell’imperialismo tedesco dovevano prendere la forma di una “rivoluzione nazionale e sociale”, di questo si fecero carico i nazisti. “L’opera di Hitler e dei suoi accoliti – scrive Lukács – consistette nel rispondere a questi bisogni vitali degli ambienti più reazionari dei Junker e del grande capitalismo tedesco. Essi hanno soddisfatto queste esigenze trasferendo l’ideologia dell’estremismo reazionario, convenientemente adattata ai tempi, dai salotti e dai caffè alla piazza”1.

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Lettera alla rivista Praxis

di György Lukács

Introduzione e note di Antonino Infranca.

in Lukács chi? a cura di L. La Porta, Bordeaux, Roma 2021.


L’11 aprile 1968 Lukács scrisse alla rivista jugoslava Praxis a seguito della richiesta che i due direttori della rivista, Gajo Petrović e Rudi Supek, gli avevano indirizzato di firmare una lettera di protesta contro le manifestazioni antisemite in Polonia. Ricordo che in quegli anni Lukács era impegnato nella raccolta di firme per una richiesta di libertà nei confronti di Angela Davis, la giovane afro-americana che lottava per i diritti civili degli afro-americani e che era stata rinchiusa nelle carceri statunitensi con l’accusa di terrorismo1. Tre anni dopo interverrà per chiedere la liberazione dal carcere ungherese di due dissidenti maoisti, Dalos e Haraszti2.

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