Lukács, il film e la tecnica

di Umberto Barbaro

«l’Unità», 22 gennaio 1959

[Per la risposta di L. si legga qui]


In occasione della pubblicazione, in Italia, dei Prolegomeni ad un’estetica marxista di György Lukács (Editori Riuniti, 1957), io lamentai, dandone notizia ai lettori dell’Unità, che in quel libro, come in tutta l’opera dell’illustre scrittore ungherese, fosse trascurata l’arte del film; sembrandomi francamente enorme che un filosofo e critico, intento a contribuire, col suo lavoro continuo ed indefesso, alla fondazione di una estetica marxista, potesse pretermettere, non solo la considerazione teorica, ma anche la critica e persino l’esemplificazione, su quella che, per noi (e si intende: per noi marxisti) è, come ha detto Lenin, e fuor di ogni dubbio, la più importante delle arti.

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Film, ideologia e culto della personalità

di György Lukács

[Intervista realizzata da Guido Aristarco a Lukács pubblicata su “Cinema nuovo”, n. 188, luglio-agosto 1967].


Abbiamo rivolto a György Lukács le seguenti domande:

1. In varie circostanze, e anche di recente, lei si è riferito con insistenza ai problemi talora angosciosi che il culto della personalità ha proposto al mondo socialista. Non ritiene che nella critica a tale culto ci sia stata e ci sia tuttora una deformazione strumentale e che questa accezione abbia servito da copertura a forme revisionistiche e di sostanziale sfiducia nella metodologia marxiana?

2. Anche noi, con lei, riteniamo che la situazione culturale così come si presenta oggi, esiga una coerente, integrale, razionalmente fiduciosa ricerca marxiana. A cosa attribuire il diffondersi, fra strati intellettuali della “sinistra” di questa sorta di sfiducia nel marxismo?

3. Ci sembra che il cinema rifletta e registri abbastanza esplicitamente (in ispecie attraverso opere di giovani e delle cosiddette “nuove ondate”) tale crisi. Non crede che questa teorizzazione del disimpegno costituisca un appoggio – non sempre disinteressato – offerto alla cultura reazionaria dall’interno dello schieramento di sinistra?

4. Dei film che ella ha avuto occasione di vedere di recente, quali le sembrano più significativi nell’ambito di una indicazione rinunciataria e quali di una indicazione di prospettiva?

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Tecnica, contenuti e problemi di linguaggio

di György Lukács

[Intervista di Yvette Biró e Szilárd Ujhelyi a Lukács apparsa sulla rivista ungherese “Film Kúltura” e poi in traduzione italiana su “Cinema nuovo”, n. 196, novembre-dicembre 1968]


Nei mesi scorsi il filosofo György Lukács ha assistito alla proiezione di quei nuovi film ungheresi che hanno ottenuto particolari riconoscimenti in patria e all’estero, e che sono considerati tra i più rappresentativi. Tra le opere di Miklós Jancsó, Igy jöttem (Sono venuto così), Szegénylegények (I disperati di Sandor), Csillagosok, katonák (Stellati, soldati [L’armata a cavallo, Ndr]) e Csend és Kiáltás (Silenzio e grido); tra quelle di András Kovács, Nehéz emberek (Uomini difficili), Hideg napok (I giorni freddi) e Falak (I muri); di István Szabó, Apa (Il padre); e di Zoltán Fábri, Húsz óra (Venti ore); di Ferenc Kósa, Tizezer nap (Diecimila soli). Il complesso dei film ungheresi con i loro temi variati solleva un grande numero di problemi sia artistici, sia legati alla nostra società di oggi, sui quali “Film Kúltura” ha posto alcune domande a Lukács. L’intervista – che pubblichiamo integralmente, per gentile concessione della rivista ungherese e nella traduzione di Ivan Lantos – ha avuto luogo il 10 maggio in casa del filosofo; le domande sono state poste dai redattori Yvette Biró e Szilárd Ujhelyi.

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Manipolazione culturale e ruolo della critica

di György Lukács

[Introduzione scritta da Lukács al libro di Guido Aristarco, Il dissolvimento della ragione, Feltrinelli, Milano 1965. Il testo è poi anche apparso su “Cinema nuovo”, n. 178, novembre-dicembre 1965, e nuovamente come Introduzione a G. Aristarco, Marx, il cinema e la critica del film (Feltrinelli, Milano 1979)].


Di fronte al compito, per me certo lusinghiero, di scrivere un’introduzione per il Suo nuovo libro1, non nasconderò il mio imbarazzo e le inibizioni che mi colgono. Esse nascono da ben fondata consapevolezza della mia incompetenza quando si tratti di formulare giudizi concreti in concrete discussioni sui problemi del cinema.

Vero che dei problemi del cinema io mi sono occupato già nella giovinezza. Se, anche oggi, non posso che considerare come unilaterale e d’occasione lo scritto che allora vi dedicai2, pure esso resta testimonianza di un vitale interesse alla nascita di un nuovo genere d’arte, e in un’epoca in cui erano ancora pochi, anche tra i produttori e critici, a credere che un’arte nuova fosse nata. Da allora ho continuato a seguire l’evoluzione del cinema con grande interesse, benché la mancanza di tempo e il campo centrale della mia attività non mi abbiano permesso mai di addentrarmi concretamente in problemi particolari, cosa che mi sembra l’unico modo per acquisire una competenza autentica e non fittizia. Ultimamente, nella prima parte3 della mia estetica (Die Eigenart des Ästhetischen), ho tentato di prender posizione su quelli che mi paiono essere i problemi per principio più importanti di un’estetica del cinema. E anche in quell’occasione cercando di non farmi passare per un competente nelle questioni particolari, che sono quelle in definitiva che in sede artistica rivestono spesso importanza eccezionale, e senza la possibilità di esaminare partitamente l’evoluzione storica della nuova arte. Devo dire che allora credevo – e lo credo ancor oggi – che i più rilevanti problemi sociali ed estetici connessi con l’arte cinematografica potessero esser colti nel loro insieme anche da chi, non potendo diversamente, si ponesse a considerarli da un punto di vista astratto.

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Diavolo azzurro o diavolo giallo?

di György Lukács

[risposta di Lukács alle critiche rivolte da Umberto Barbaro all’articolo Lukács, il film e la tecnica, apparse sul quotidiano “L’Unità” il 22 gennaio 1959. Il testo è stato pubblicato su “Cinema nuovo”, n. 154, novembre-dicembre 1961]


Ne “L’Unità” del 22 gennaio Umberto Barbaro dedica un articolo ad alcune mie osservazioni provvisorie, in origine puramente epistolari (erano espresse in una lettera al mio ex-scolaro István Mészáros), intorno al film, che sono state pubblicate dalla rivista “Cinema nuovo”1. L’articolo stesso, come si mostrerà subito, non meriterebbe una replica. Tuttavia la sede in cui è apparso gli conferisce un certo peso, e può forse essere utile rimettere a posto i problemi che in quell’articolo sono stati interamente capovolti. Umberto Barbaro cita alcune righe della presentazione redazionale che introduceva le mie osservazioni senza nemmeno addentrarsi nel testo vero e proprio (il lettore vedrà che si tratta qui del metodo critico da lui costantemente adoperato). Egli cita dunque le parole della presentazione secondo cui io do ragione a Mészáros quando egli distingue la tecnica dalla forma, e aggiunge subito la conseguenza che io contesterei senz’altro l’importanza della tecnica nell’arte. Devo confessare che, benché non nutra un’opinione troppo alta della logica dei neopositivisti, questo volo pindarico mi ha egualmente sorpreso.

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Rivoluzione e psicologia della vita quotidiana 

di György Lukács

[Rivoluzione e psicologia della vita quotidiana è il testo di un’intervista realizzata a Lukács da András Kovács pubblicata su “Film Kúltura” e poi in italiano su “Cinema nuovo”, n. 217, maggio-giugno 1972.]


Nel 1919, durante la Repubblica ungherese dei consigli, lei partecipò al governo e, come commissario del popolo, per primo nella storia nazionalizzò la cinematografia. Quali ricordi ha di quell’avvenimento? 

Ho pochissimi ricordi. Non possiamo dimenticare che la storia della dittatura del proletariato venne scritta, in genere, in modo stalinista. Sotto questo aspetto si pretendeva una specie di potente sovrano, molto intelligente, in grado di mettere a posto tutto. In realtà non ero assolutamente un tale sovrano. Nella dittatura proletaria del 1919, mio unico merito fu quello di far intervenire, nell’ambito del Commissariato del popolo, con un ruolo di guida, i dirigenti di tutte le correnti progressiste nei vari campi, dall’insegnamento alla musica. Se lei ora mi volesse chiedere chi ha nazionalizzato il cinema, dopo cinquant’anni non potrei proprio rispondere. Personalmente mi occupavo molto di particolari questioni – istruzione pubblica, università, letteratura, arte – ma, le confesso, so pochissimo di quanto è avvenuto nel campo cinematografico. Non si può dimenticare, naturalmente, che nel 1919, il peso del cinema nella vita artistica e culturale era molto minore di quello di oggi. 

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Il dibattito su Lukács e il realismo

[redazione]

«l’Unità», 18 dicembre 1953.

Dinanzi a un foltissimo pubblico, nel quale si sono notali, accanto ai rappresentanti più qualificati della cultura romana, l’Ambasciatore delll’URSS Kostilev, il Ministro dell’Ungheria e varie altre personalità diplomatiche, si è svolto ieri sera nei locali della Associazione artistica internazionale di via Margutta, l’annunciato dibattito su «Lukács e i problemi del realismo» promosso dall’Associazione italiana per i rapporti culturali con l’Ungheria. Sotto la presidenza del critico Carlo Muscetta, il dibattito ha preso inizio dall’intervento del prof. Carlo Salinari, il quale ha illustrato, con ampie citazioni dal volume recentemente tradotto in italiano, Il marxismo e la critica letteraria, il concetto che il filosofo e critico ungherese ha del realismo nell’arte, in polemica contro il naturalismo, fotografica riproduzione della realtà, e il formalismo, momenti, entrambi, della decadenza delle grande tradizione realistica dell’Ottocento il Lukács giunge alla conclusione che il realismo è frutto di una organica e dialettica visione della realtà, al centro della quale sta l’uomo. Salinari ha dedotto, dalla impostazione di Lukács, alcune considerazioni sui problemi attuali della letteratura italiana. La tendenza alla cronaca, riscontrabile in molta parte della narrativa e dell’arte attuale, è una forma di naturalismo, in cui, per amore della riproduzione esatta della realtà, non si coglie e rappresenta quanto in essa è tipico ed espressivo. Così avviene d’altra parte che una delle correnti più avverse al realismo sia quella misticheggiante, basata su di un’ideologia reazionaria, antiscientifica, disumana della vita. Il realismo oggi si connette necessariamente alla cultura più avanzata e progressiva dal punto di vista scientifico, così come deve legarsi alla classe più avanzata nella storia, alla classe operaia. Pur se ancora talvolta la connessione è rozza, non può non essere questa la grande strada dei realismo.

All’intervento di Carlo Salinari è succeduto quello di uno del maggiori romanzieri italiani, Alberto Moravia, il quale ha illuminato il concetto che Lukács ha di decadentismo strettamente legato, del resto, a quello di realismo. In concordanza con Salinari, Alberto Moravia ha messo In luce alcuni limiti del pensiero del grande critico ungherese, e soprattutto il nesso meccanico e schematico che talvolta dalle sue analisi traspare tra la base economica e l’arte.

Il regista e teorico Luigi Chiarini ha svolto in un terzo intervento, alcuni concetti sul realismo cinematografico, in accentuata polemica contro il naturalismo cronachistico di una parte della attuale produzione cinematografica italiana, egli ha chiamato alla memoria film come Roma città aperta, Paisà e Sciuscià, profondamente fusi, in tutti i loro aspetti con la narrazione, non dispersi in aspetti laterali, di colore, in descrizioni, insomma, che, per quanto gustose e precise, escono dall’ambito del realismo e indicano la tendenza naturalistica di molti registi italiani. Infine, tra l’interesse sempre vivo del pubblico, lo scrittore G. B. Angioletti ha esposto due sue osservazioni sul pensiero critico di Lukács: una in dissenso con il filosofo ungherese per i troppo stretti e condizionanti legami che questi gli sembra stabilire tra il capitalismo e l’artista; mentre l’artista, quando sia tale, e quando sia sincero, anche se non grande, sempre si sarebbe mosso in opposizione con il conformista mondo borghese. L’altra in accordo, per il grande rilievo che il Lukács dà alla tradizione del realismo.

Prima delle conclusioni che Carlo Muscetta ha tratto dall’interessante dibattito, il prof. Galvano Della Volpe ha tenuto a porre alcune precisazioni e alcuni quesiti, nei riguardi del pensiero del filosofo ungherese; e nel suo vivace intervento ha affermato di cogliere una contraddizione tra il concetto di intuizione sensibile, di origine idealistica, e il concetto di tipico nell’arte, e di non essere d’accordo con la svalorizzazione che, a suo avviso, fa il Lukács dell’opera di Flaubert.

Carlo Muscetta, concludendo la discussione, ha indicato i nessi tra i problemi affrontati da Lukács e la battaglia per il realismo che Francesco De Sanctis, nella seconda metà dell’Ottocento, aveva condotto e anticipato con precisione in Italia.

Cultura e potere

cpicoIn questa raccolta vengono riunite alcune tra le ultime interviste concesse da Lukács sugli argomenti più svariati, pur sempre legati all’attualità dell’epoca. Come sempre, nell’ultimo Lukács emerge l’impegno, vissuto con profonda serietà e convinzione, della riforma del marxismo e della necessità di avviare dei processi di democratizzazione della vita quotidiana, al di là dei residui stalinisti dell’organizzazione del potere e della cultura e del liberalismo occidentale. Queste pagine, ovviamente, non possono essere capite senza aver presente la sua ultima fatica filosofica, ovvero l’Ontologia dell’essere sociale, opera che ancora oggi, lì dove una realtà di trasformazione è lentamente messa in moto (America Latina), lontano da questo occidente in crisi economica e culturale, continua ad essere studiata con grande interesse.

Alcune di queste interviste furono pubblicate con altro titolo sulla New Left Review negli anni Settanta.