Tutti i dogmatici sono disfattisti

di György Lukács

«Rinascita», n. 13, 29 marzo1968. [L’intervista è stata rilasciata originariamente alla rivista culturale praghese Kulturní noviny e poi tradotta in italiano per «Rinascita», che non specifica però il nome dell’intervistatore]


D. Recentemente, compagno professore, lei ha espresso l’opinione che negli ultimi tempi si sta creando nel mondo una situazione molto favorevole al crescente influsso dell’ideologia marxista. Mentre nell’Occidente si diffonde l’interesse per il marxismo e per la sua positiva comprensione, noi non ci rendiamo nemmeno sufficientemente conto, lei ha detto, di quanto profondamente potremmo influire sull’evoluzione del mondo capitalistico, se fossimo al necessario livello per esempio nella filosofia, nella letteratura, nella cinematografia, nella musica ecc. Che cosa impedisce secondo il suo giudizio, come dunque dovremmo progredire, affinché in avvenire noi ci avviciniamo a quel necessario livello?

Lukács. Innanzitutto dobbiamo partire dal riconoscimento del fatto che per trent’anni il marxismo è ristagnato, che nel periodo in cui Stalin stabiliva che cosa era il marxismo e che cosa il marxismo non era, per anni e purtroppo generalmente furono riconosciute come scientifiche anche molte vere e proprie sciocchezze. Dapprima dunque deve essere di nuovo restaurato il marxismo. Quanto tempo questo processo richiederà, se si svolgerà lentamente oppure rapidamente, non possiamo giudicarlo in anticipo. Abbiamo oggettive possibilità di rinascita del marxismo, sono in gioco però anche condizioni soggettive. Dipenderà dal fatto se il partito promuoverà lo sviluppo del marxismo, oppure se gli porrà degli ostacoli. È una questione che non possiamo valutare in generale — è differente nei vari paesi. Noi supponiamo che, per esempio, i compagni cecoslovacchi stiano per l’appunto attraversando una svolta degna di rilievo, e diverse cose attestano che lo sviluppo del marxismo può avere in Cecoslovacchia condizioni più favorevoli sotto Dubček di quanto non siano state sotto Novotný.

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Marxismo e critica letteraria in un libro di G. Lukács

di Carlo Salinari

«Rinascita», 1953, n. 11, pp. 620 sgg.


Einaudi ci ha dato un nuovo volume di Giorgio Lukács. Si tratta di una raccolta di saggi scritti fra il ’35 e il ’45, teorici e di critica applicata, spesso legati a un’immediata necessità polemica. Così i saggi Narrare o descrivere? e La fisionomia intellettuale dei personaggi artistici ebbero origine dal dibattito sul formalismo e il naturalismo sviluppatosi in U.R.S.S. nel 1936, il carteggio con la Seghers risale alle discussioni avvenute in Germania nel 1938 sull’espressionismo e lo stesso saggio teorico di apertura sull’estetica marxista riflette le discussioni che seguirono la instaurazione in Ungheria della democrazia popolare. È forse da questa occasione polemica che i saggi ritraggano la loro vivacità, il loro carattere così piacevolmente antiaccademico e antisistematico (anche se qua e là fa capolino un tono un po’ professorale), la ricchezza di motivi, di spunti, di analisi critiche particolari, di esempi tratti da questo o quello scrittore: Balzac e Flaubert, Tolstoi e Gorki, Shakespeare e Ibsen e Dickens e Schiller e Zola fino a Dos Passos. È forse da quell’occasione polemica che i saggi ritraggono – d’altra parte – tutto ciò che di provvisorio, d’impreciso, di schematico un lettore attento può ritrovarvi.

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György Lukács e la sua via marxismo

di Antonio Baroni

«ABC», anno IX, numero 12, marzo 1968, p. 53.


Ormai è evidente che da questo mondo bisogna aspettarsi di tutto. Persino che un György Lukács, una delle vittime più illustri delle spietate persecuzioni staliniste, ci parli bene di Stalin. La sorpresa, veramente scioccante, ci viene dal primo saggio di questo volume pubblicato da Einaudi: Marxismo e politica culturale. Il saggio si intitola: La mia via marxismo. In esso, dopo aver chiarito i motivi e gli impulsi ideali che, giovinetto, lo avvicinarono al marxismo, Lukács parla di Stalin. Dopo l’ovvia precisazione secondo la quale «si deve riconoscere che la fonte del contrasto fra le correnti progressive che arricchivano la cultura marxista e l’oppressione dogmatica di una burocrazia tirannica su ogni pensiero autonomo era da ricercarsi nel regime stesso di Stalin e pertanto anche nella sua persona», Lukács passa a elencare i meriti di Stalin. È vero, dice sostanzialmente Lukács, che Stalin commise ogni sorta di orrori, ma in quel momento – diciamo tra il ’30 e il ’45 –, per ogni vero comunista sarebbe stato assurdo contrastarlo perché c’era da tenere presente tutta una situazione generale.

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Lettera alla rivista Praxis

di György Lukács

Introduzione e note di Antonino Infranca.

in Lukács chi? a cura di L. La Porta, Bordeaux, Roma 2021.


L’11 aprile 1968 Lukács scrisse alla rivista jugoslava Praxis a seguito della richiesta che i due direttori della rivista, Gajo Petrović e Rudi Supek, gli avevano indirizzato di firmare una lettera di protesta contro le manifestazioni antisemite in Polonia. Ricordo che in quegli anni Lukács era impegnato nella raccolta di firme per una richiesta di libertà nei confronti di Angela Davis, la giovane afro-americana che lottava per i diritti civili degli afro-americani e che era stata rinchiusa nelle carceri statunitensi con l’accusa di terrorismo1. Tre anni dopo interverrà per chiedere la liberazione dal carcere ungherese di due dissidenti maoisti, Dalos e Haraszti2.

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Dopo cinquanta anni

con György Lukács, Arnold Hauser e altri

da Lukács parla. Interviste (1963-1971), a cura di A. Infranca, Edizioni Punto Rosso, Milano 2019.

Una conversazione per radio tra György Lukács, a Budapest, e Arnold Hauser, a Londra, registrata dalla radio ungherese nell’anno 1969.


Conduttore – Trasmettiamo una conversazione che si sta realizzando tra la BBC londinese e la radiodiffusione ungherese. Nello studio londinese si trova il professore Arnold Hauser, il quale potremo chiamare semplicemente Arnold Hauser, poiché il famoso sociologo dell’arte nacque in Ungheria. Cominciò i suoi studi nella Facoltà di Filosofia dell’Università di Budapest, studiò filologia tedesca e francese, fece amicizia con Karl Mannheim e successivamente con Georg Lukács. Ci è noto il “Circolo della domenica”, sorto nel 1916, tra i cui membri figuravano, oltre a Lukács, Bela Balázs, Karl Mannheim, Frederich Antal, Anna Lesznai[1], Arnold Hauser e altri. È anche conosciuta la “Scuola libera delle Scienze dello spirito”, che sorse da questo circolo e nella quale i membri del “Circolo della domenica” tenevano conferenze di elevato livello accademico, malgrado fosse aperta a tutti. Durante il regime di Horthy la maggioranza dei partecipanti del circolo emigrò: lo stesso Hauser da mezzo secolo sta vivendo all’estero. Lì ha scritto, tra le altre cose, la sua opera principale, la Storia sociale della letteratura e dell’arte, pubblicata recentemente in ungherese. Questo avvenimento ci ha dato l’opportunità di invitare il professore Hauser a partecipare a questa conversazione. Per questo motivo si trovano invitati negli studi di Budapest gli accademici Georg Lukács e Julius Ortutay, il sociologo Tibor Huszár e l’editrice dell’opera di Hauser, Beatrix Kézdy.

In considerazione dell’antica amicizia esistente tra i due saggi chiediamo a Georg Lukács che lo saluti. Continua a leggere

Lukács sulla futurologia

di György Lukács

da Lukács parla. Interviste (1963-1971), a cura di A. Infranca, Edizioni Punto Rosso, Milano 2019.

Pubblicata in lingua originale, cioè tedesco, in Futurum, n° 4, 1970, pp. 495-506. Gli intervistatori sono Ferenc Jánossy, Mária Holló Jánossy, Jutta Matzner. L’intervista è stata concessa nel settembre 1969.

Venne pubblicata una versione in inglese in The New Hungarian Quarterly, no. 47 (vol. 13, Autumn 1972), pp. 101-107.

L’intervista è stata pubblicata in Italia per la prima volta in «Carte segrete», n. 21, 1973, col titolo Utopia e logica – Critica del futuro.

La versione che qui si presenta è tratta da Lukács parla, in cui però non si specifica se la traduzione sia nuova o se sia ripresa dalla rivista «Carte segrete». Crediamo tuttavia che la traduzione sia fatta (purtroppo malamente) dalla versione inglese. In parentesi quadre i nostri suggerimenti per la comprensione. Continua a leggere

Il dialogo nella corrente

di György Lukács

da Lukács parla. Interviste (1963-1971), a cura di A. Infranca, Edizioni Punto Rosso, Milano 2019.

L’intervista è stata raccolta e pubblicata da Béla Hegyi in A dialógus sodrában (Il dialogo nella corrente), Budapest, Magvető Kiadó, 1978. È stata tenuta nel 1970.


Fu György Lukács a lanciare l’idea del dialogo. In una conferenza tenuta durante l’estate del 1956, egli richiamò l’attenzione sul fatto che «qualche rilevante teologo non desidera ignorare ancora a lungo il marxismo come una variazione del materialismo volgare, ma sente la necessità di un serio dibattito centrato sui suoi problemi. L’“attitudine conciliatrice” del cattolicesimo offre un’opportunità per entrare in contatto, per far partire un dialogo o un dibattito che cinque o dieci anni fa sembrava impensabile».

Lukács non solo fece pressione per il dialogo, ma egli stesso fu attivamente coinvolto in esso. Egli era aperto alla discussione da ogni lato. Sebbene non si stancasse mai nell’argomentare le sue posizioni, rispettò sempre le opinioni delle altre parti, in particolare quando queste convinzioni erano fondate in una fede vissuta e in un orientamento intellettuale e non coinvolgevano una flagrante contraddizione tra fede e azione.

Oggi, a 85 anni, egli è l’uomo più famoso in Ungheria. Per chiunque – marxista e non marxista, credente o non credente – è appassionante ascoltare le sue concezioni.

All’inizio della nostra conversazione egli mi ricorda: «Non do interviste, ma lei può prendere nota».

Più tardi ammorbidisce la sua attitudine: «Non mi importa se pubblicate tutto, a patto che non sia sotto forma di intervista. Durante il mese scorso, così tanti giornalisti sono venuti a vedermi che ne ho avuto abbastanza di loro. Dopo tutto, non sono una stella del cinema, né sono un Nixon che ha risposte stereotipate per tutte le domande, cioè un “immagine”. Sono uno scrittore, risolva questo problema …» Continua a leggere

Lukács dal dramma moderno al romanzo storico

di Guido Lucchini

«Strumenti critici» XXVI, n. 3, ottobre 2011


Quando nel 1965 Cases presentò al pubblico italiano Il romanzo storico, scritto negli anni 1936-37 durante l’esilio moscovita, con una breve introduzione1, non erano state ancora pubblicate opere fondamentali, da Storia e coscienza di classe, all’incompiuta Estetica di Heidelberg, al giovanile Dramma moderno, per non dire la voce “romanzo” della Literaturnaja enciklopedija (1935)2, che sarebbe uscita da Einaudi soltanto nel 1976, quando le fortune del pensatore e critico ungherese in Italia cominciavano a declinare. Opere tutte che modificavano sensibilmente l’itinerario intellettuale di Lukács. Infatti nel decennio 1950-60 era stato l’autore degli studi della maturità (da Goethe e il suo tempo a La distruzione della ragione, a Il giovane Hegel) a destare l’interesse in Italia e ad esercitare una certa influenza, con ogni probabilità sopravvalutata, sulla cultura di orientamento marxista. All’inizio degli anni Sessanta si cominciò a conoscere un altro Lukács, quello anteriore alla conversione al marxismo (nel 1962 usci la Teoria del romanzo, preceduta da una lunga introduzione di Lucien Goldmann, nel 1963 L’anima e le forme). Il romanzo storico, col suo intento dichiarato di leggere «il presente come storia», per usare un’espressione del libro divenuta famosa, completava là conoscenza del Lukács successivo alla svolta del 1930, piuttosto che contribuire a un riesame complessivo della sua opera. A distanza di oltre quarant’anni risultano però chiari non solo i grandi meriti del critico e filosofo ma anche i limiti, politici e culturali. Non accenno ai primi, perché d’immediata evidenza. Alla luce di quanto accaduto negli ultimi decenni mi sembra invece inevitabile soffermarmi, sia pure rapidamente, sul secondo punto. Se vi è un elemento di continuità fra il primo e il secondo Lukács, questo deve ravvisarsi anzitutto nella convinzione che i tratti più significativi e le contraddizioni di un’epoca si esprimono principalmente nella cultura. Con un ovvio corollario: gli intellettuali, che siano intesi come categoria dello spirito o della società non è in questo caso di primaria rilevanza, ne sono i legittimi depositari. Ora, nell’ultimo quarto del Novecento la figura dell’intellettuale è di fatto scomparsa. E ci sono fondati motivi per dubitare che il terreno della cultura sia ancora l’ambito privilegiato nel quale si esprimono le contraddizioni e le trasformazioni del presente. Continua a leggere

L’interrogativo Lukács

«il manifesto» 16 settembre 1982


È interamente dedicato al filosofo marxista György Lukács il prossimo fascicolo della rivista Metaphorein (Tullio Pironti editore). Comprende inediti di Lukács, testi di Bedeschi, Cacciari, Cases, Cometa, Markus, Masini, Negri, Prestipino, Scarponi, Tertullian, Valente. Una ripresa dunque di interesse per un filosofo spesso deriso in epoca di «crisi delle certezze»? Presentiamo intanto al lettore l’editoriale che apre il numero di Metaphorein sull’«interrogativo Lukács» Continua a leggere

L’inafferabile Lukács

di Stefano Petrucciani

«il manifesto», 22 ottobre 1982


L’interrogativo Lukács: hanno visto giusto Ferruccio Masini e Mario Valente nell’intitolare così la parte monografica dell’ultimo fascicolo della rivista Metaphorein, che raccoglie molti contributi utili a ripensare, a più di dieci anni dalla sua morte, l’opera del grande pensatore ungherese. Di Lukács ancora oggi, sembra non si possa parlare che appunto in termini di interrogativo, di problema; sarà per la statura gigantesca del personaggio, che mal si presta ad una rapida digestione storiografica; sarà per gli usi molteplici che ne sono stati fatti, nelle nostre instabili stagioni culturali (vedi il saggio di Valente su Lukács e l’ideologia italiana); sarà, da ultimo, per la ricchezza di articolazioni, di veri e propri rovesciamenti che segnano, in modo singolarissimo, le tappe decisive del suo pensiero vissuto (così s’intitola appunto l’autobiografia di questo grande marxista). Continua a leggere