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concezione trotskista del sindacato, democratizzazione, democrazia formale, Lenin, numero parlamentari, partito, Polonia, rapporto rappresentati e rappresentanti, sciopero spontaneo, sindacato, ungheria
di György Lukács
«il manifesto» 3 gennaio 2004.
Brani tratti da Intervista per il Partito apparso in Testamento politico (gennaio 1971), Edizioni Punto Rosso, Milano, 2015.
Se devo dare la mia opinione riguardo a quanto accaduto prima, durante e dopo il X Congresso [del Partito Operaio Socialista Ungherese], posso semplicemente asserire che, se bastasse porsi sul piano del puro desiderio, allora si potrebbe dire che sono al cento per cento d’accordo su tutto. Mi sembra invece che molte cose sono pensate come se fossero reali, ma restano per noi solo un desiderio lontano. Questo ha a che vedere principalmente con tutte le questioni relative alla democratizzazione. In realtà formalmente c’è una certa democratizzazione, ma non dimentichiamo che questo aspetto è presente in ogni dittatura; formalmente nell’era di Rákosi [segretario del Partito Comunista Ungherese fino al 1956] eleggevamo «liberamente» un deputato (e dico «liberamente» tra virgolette), come avviene adesso. E posso giudicare ciò a partire dal mio atteggiamento di allora: consideravo una questione importante il fatto che le percentuali elettorali registrassero il maggior numero possibile di votanti, quindi partecipai a tutte le votazioni, consegnando la mia scheda; ma devo ammettere che, in 25 anni, neanche una volta ho prestato attenzione al nome che compariva nella scheda. Credo che questo, in qualche modo, sia una fotografia di quanto fosse democratico il sistema di votazione: non è affatto democratico il fatto che a me non importasse assolutamente chi mi rappresenti alla Camera dei Deputati. Debbo ammettere che avevo la stessa sensazione durante il governo di István Tisza [Primo Ministro al tempo dell’impero asburgico]. Continua a leggere