Intervista sul congresso del P.C.U.S.

di György LukácsRenato Nicolai

«l’Unità», 5 maggio 1956


Lukács è fra gli uomini più attivi che io abbia conosciuto. Quando discutiamo, qui in Italia e altrove nell’occidente, dei significati retrospettivi e anticipatori del XX Congresso del PCUS, e quando ci preoccupiamo, con passione e sincerità, di capire quali esigenze nuove essi pongano, o quali ampliamenti essi richiedano del nuovo che già era nel nostro movimento, noi facevamo un onesto e meritevole sforzo di attualizzazione delle nostre idee e dei nostri metodi di lavoro e di lotta. Ebbene, se queste cose per noi sono di recente storia, per Lukács sono state preoccupazioni dei tempi nei quali si è svolta la sua vita di pensatore e di uomo. Numerose, particolarmente in certi anni, furono le critiche aspre e diffidenti, che riguardarono la sua posizione di filosofo e di combattente. Oggi queste ombre Lukács sembra essersele lasciate alle spalle. Parlando con lui si ha la conferma della forza che viene oggi alle nostre posizioni da un atteggiamento di coraggiosa verità, e si avverte quella potentissima sensazione di cose nuove che oggi è nel cuore di ogni operaio e di ogni socialista. Così, attraverso alcuni colloqui, abbiamo potuto porre a lui numerose domande per l’Unità e per Vie Nuove, sulle questioni cui già si è accennato, e sui problemi del realismo, ai quali Lukács ha dato le seguenti risposte:

Continua a leggere

I luoghi comuni del realismo

di Vittorio Saltini

«L’Espresso», n. 3, 21 gennaio 1968.


Piero Raffa, Avanguardia e Realismo, Rizzoli, L 1.800.

Nel libro “Avanguardia e realismo), il saggio più ampio vuol essere una contrapposizione della mentalità di Brecht (secondo Raffa, realista, avanguardista e «nihilista») alla mentalità di Lukács, imputato in quanto umanista, «oggettivista» e retrogrado. Quest’antitesi di Brecht e Lukács diventa col tempo sempre meno accettabile. Ed è curioso che Raffa intenda criticare Lukács servendosi di frasi di Brecht come questa: «Quando l’arte rispecchia la vita, lo fa con specchi speciali. L’arte non diventa irreale quando altera le proporzioni». Giacché proprio per Lukács, che è stato il più duro critico di Zola e del naturalismo, l’arte davvero realistica altera appunto le proporzioni del quotidiano. Lukács ha la massima considerazione di scrittori come Swift e Hoffmann, e se fa obiezioni a Kafka non è certo perché Kafka “deforma”, ma per il particolare fondamento ideologico di tale deformazione. Ma dall’alto del suo neopositivismo, Raffa tratta l’«intrepido Don Chisciotte» Lukács con una sufficienza incosciente pari solo a quella con cui Pietro Citati ogni tanto lo liquida con due battute in qualcuna delle sue collezioni di aggettivi sul “Giorno”. Ma anche il tono di Raffa si fa notare: «Il fideismo da me individuato quale tratto caratteristico della mentalità di Lukács…».

Continua a leggere

Lukács non piace ai dogmatici

di Vittorio Saltini

«L’Espresso» n. 25, 23 giugno 1968


Marzio Vacatello, Lukács, La Nuova Italia, L. 1.500.

È questo il primo libro scritto in Italia su Lukács. Mi dispiace di dover dire che non è un libro soddisfacente. L’argomento era troppo impegnativo, e l’autore (malgrado le sue indubbie capacità) troppo giovane per affrontarlo in modo adeguato. E poi, alcuni di questi nostri giovani marxisti nascono alquanto dogmatici. Così essi rifiutano anche Lukács (si veda pure Cesare Pianciola nella nota al libro “Conversazioni con Lukács”, edito da De Donato) non perché il suo pensiero non trovi conferme nella realtà (di questo non si occupano), ma perché non coincide col pensiero di Marx. Dall’alto del loro culto, questi guardiani d’una tomba vuota trattano con grande sufficienza i marxisti non ortodossi come Lukács, della cui «superficialità» Vacatello si lamenta più d’una volta (cioè Lukács risolve con nettezza certe sublimi controversie della scolastica marxista). Ma Lukács sarebbe un ideologo e Marx invece è «scienza». Questi marxisti dogmatici si richiamano apoditticamente alla «scienza marxiana», non già a questa o quella proposizione verificata, scientifica. È vero che un loro maestro, Althusser, indica a volte come marchio e fondamento di scientificità alcune proposizioni di Marx, come quella (la citavo la volta scorsa) secondo cui in ogni società una «determinata produzione» colora di sé tutti gli altri fenomeni sociali. Ma ad esempio questa è, per l’appunto, una proposizione né vera né falsa: è solo un’indicazione di lavoro. La sua validità può essere provata soltanto dalla sua eventuale conferma in singole analisi storico-sociali: che è proprio ciò che questi marxisti si guardano bene dal saper tare (mentre lo ha fatto Lukács!). Gli ortodossi sanno che il mondo deve funzionare conforme alla citazione, e tanto basta. Il loro richiamo a Marx è un atto di fede: è metafisica. Peccato.

Continua a leggere

Da Lukács a Burgum. La storia, il romanzo e la società

di Giansiro Ferrata

«Rinascita», n. 40, 9 ottobre 1965.


L’importanza dello studio del filosofo ungherese sta nell’energia chiarificatrice degli esempi, delle lezioni grandi e intense che il romanzo storico è venuto offrendo per decenni a vantaggio del nuovo realismo narrativo in genere e dei suoi capolavori in particolare. Ma il libro entra in crisi in quel centinaio di pagine dedicate al rapporto tra il romanzo storico e la crisi del romanzo borghese. L’esperienza letteraria nell’opera di un critico marxista americano.

Continua a leggere

Realisti tedeschi del XIX secolo

di Paolo Chiarini

«Rinascita», n. 11, 13 marzo 1965.


Georg Lukács, Realisti tedeschi del XIX secolo, Trad. it. di Fausto Codino Milano. Feltrinelli, 1963 Pagg. 341, L 3.200.

Nell’arco della sua lunga e feconda attività di studioso è possibile individuare due tipi diversi di approccio — da parte di Lukács — alla storia della letteratura tedesca moderna. Da un lato la sintesi diacronica e (orizzontale), tendente a ritrovare le grandi linee dello sviluppo letterario in rapporto alla dialettica dell’intera società; dall’altro l’analisi sincronica e (verticale), in cui il singolo autore viene posto simultaneamente a confronto con lo spaccato completo di quella società, onde mettere a fuoco la mediazione concreta fra i due termini del discorso. Codesti approcci, tuttavia, sono complementari l’uno all’altro: giacché come il primo si presenta quale punto d’arrivo e riepilogo di una complessa serie d’indagini settoriali, così anche il secondo finisce col suggerire (da una particolare prospettiva, s’intende) un disegno storico unitario, che trascende positivamente la frammentarietà delle analisi.

Continua a leggere

L’arte moderna e la grande arte

di György Lukács

«Rinascita-Il Contemporaneo» n. 9, 27 febbraio 1965


Il dialogo con György Lukács che qui riportiamo, si è svolto a Budapest il 7 febbraio 1965. Nel riferire le dichiarazioni rilasciate dalla studioso ungherese, usiamo volutamente una forma discorsiva. Dipende da due motivi. Anzitutto molte risposte hanno, per ammissione dello stesso Lukács, il valore di una prima approssimazione ai problemi che il marxismo si pone oggi in tutti i paesi e in tutti i partiti comunisti. È un contributo, cioè, che lo stesso Lukács considera provvisorio, almeno per quanto riguarda le formulazioni delle proposte da lui fornite. Inoltre dobbiamo avvertire i nostri lettori che alcune affermazioni troppo recise (come i giudizi sulle esperienze letterarie e artistiche contemporanee o la professione di fede «antimodernista») erano pronunciate non senza qualche sfumatura di ironia o di auto-ironia che diventa difficile far balenare in un testo scritto. Per riprodurre almeno in parte il tono di vivacità che il nostro interlocutore ha voluto usare durante il colloquio, abbiamo pensato di riferire le sue dichiarazioni nella forma più diretta.

Continua a leggere

Astrazioni per spiegare la realtà: “Saggi sul realismo” di Lukács

di Francesco Cerutti

«La Fiera letteraria» V,  n. 37, settembre 1950.

[Il peggiore articolo mai scritto su L.]


Una gustosa presa in giro della metodologia marxista applicata alla critica letteraria, si legge, fra sparse annotazioni, in un breve scritto del Croce, pubblicato di recente, Cose nuove che son vecchie, ed è l’interpretazione, appunto condotta secondo i rigidi canoni del materialismo storico, d’un canto dantesco, quello di Paolo e Francesca, che per la singolarità dell’impostazione rivela, diciamolo pure con le parole del Croce, «profondità ed abissi inesplorati e sembianze affatto nuove che i critici borghesi non vedevano o non volevano vedere». La bonaria ironia del Croce, non di rado più efficace della sua stessa stringente dialettica, e come tale maggiormente temibile, è nota, epperò d’interpretazione e suggerimenti di tal natura è naturale si finisca con il sorrider divertiti. Ma il sorriso sparisce ben tosto e cede a dubbiosa incredulità, ad accorata meraviglia, quando quegl’argomenti s’odan ripetere e bandire ex cathedra, non più per celia ma con la serietà che si conviene a chi fa professione di critico e d’insegnante, e i problemi della letteratura e dell’arte, ha l’esplicito dovere di conoscere. Intendere, dichiarare altrui. E questo è il caso di György Lukács, professore di estetica nell’università di Budapest, autore di svariate monografie letterarie fra cui spicca un celebrato saggio sul Goethe tradotto anche in italiano, che ha raccolto in volume alcuni suoi studi sui realisti francesi e russi dell’ottocento, e la cui opera, tradotta non sappiamo da chi, è uscita da poco in veste italiana per iniziativa dell’Einaudi, infaticabile divulgatore di quel che chiamasi – con qualche ottimismo – il pensiero marxista contemporaneo.

Continua a leggere

Lukács chi? Dicono di lui

I carteggi con Elsa Morante, le indicazioni politiche di Togliatti, i giudizi critici di Croce e Fortini e le citazioni lukacsiane negli scritti di Che Guevara. Queste e altre autorevoli voci, assieme a documenti e materiali poco noti, e riunite dal sapiente lavoro storico-critico di Lelio La Porta, ci aiutano a ripercorrere la vita e il pensiero di György Lukács (1885-1971), intellettuale marxista fra i più influenti del secolo scorso. Uno strumento puntuale e affidabile per conoscere la vita turbolenta e tempestosa del pensatore ungherese e il suo impianto storico-filosofico, ancora oggi saldo punto di riferimento per la scienza politica. Contributi di Nicola Abbagnano, Cesare Cases, Carlos Nelson Coutinho, Benedetto Croce, Franco Fortini, Antonio Gramsci, Ferdinando Gueli, Ernesto Che Guevara, Ágnes Heller, Antonino Infranca, Janos Kelemen, Guido Liguori, István Mészáros, Elsa Morante, Zoltán Mosóczi, Aldo Rosselli, Pier Aldo Rovatti, Palmiro Togliatti, Miklós Vásárhelyi.

Carteggio Lukács-Morante

Introduzione e note di Antonino Infranca

in Lukács chi? a cura di L. La Porta, Bordeaux, Roma 2021.


L’interesse di György Lukács per le opere della Morante è ben anteriore al periodo in cui i due si scambiarono le lettere che qui presentiamo. In una lettera dell’8 novembre 1957, indirizzata a Cesare Cases, Lukács chiedeva che gli fossero inviati i libri della Morante, tradotti in lingua a lui accessibile. È noto, infatti, che Lukács non parlasse affatto l’italiano e che lo leggesse, per altro, con grande difficoltà – come confessa in una delle lettere spedite alla Morante. Fu Cesare Cases che gli diede per la prima volta notizia delle opere di Elsa Morante; e Lukács lo invitò anche a scrivere saggi su di lei – lettera del 26 febbraio 1958. Il nome della Morante ricorre spesso nella corrispondenza tra Cases e Lukács. In un’altra lettera del 12 gennaio 1958, Cases riporta a Lukács l’emozione che la Morante provò, apprendendo dall’Unità che Lukács, durante il periodo di deportazione in Romania nel 1956-57, avrebbe trovato persino il tempo di leggere Menzogna e sortilegio.

Continua a leggere

A proposito di letteratura e marxismo creativo

di György Lukács

da Lukács parla. Interviste (1963-1971), a cura di A. Infranca, Edizioni Punto Rosso, Milano 2019.

a cura di A. J. Liehm

Intervista rilasciata al giornalista cecoslovacco A. J. Liehm nel dicembre 1963 e pubblicata nel n. 3 della rivista Literární noviny, Praga, gennaio 1964. Qui ripubblichiamo la traduzione italiana apparsa nel n. 69 de Il contemporaneo, febbraio 1964, Roma. Non ci sono indicazioni del nome del traduttore. Si sono apportate alcune rare correzioni.


Lukács – Ecco, di un libro m’interessa sempre se ciò che in esso è detto, non sarebbe stato possibile raccontarlo nella medesima dimensione, diciamo, del reportage, se vi si pongono questioni oppure si risolvono problemi a un livello realmente artistico e non nelle dimensioni della sociologia. A tal riguardo sono un conservatore ed esigo che per tutto quanto vi è di importante nell’arte, si trovi una forma corrispondente. Questo vale da Omero sino a Kafka. Allo stesso modo, sono contro la forma senza contenuto e senza un problema poeticamente concreto, all’interno e viceversa. Per il resto vi sono altri mezzi e strumenti, per esempio la stampa. Credo che un buon lavoro sociologico sia più importante e, dal punto di vista della conoscenza, più redditizio, forse, dell’Homo Faber di Frisch. Affinché un ingegnere si renda conto della propria alienazione nella società capitalistica, non deve necessariamente avere un rapporto con la propria figlia. Questa è un’aggiunta poeticamente inorganica per il lettore modernista. Il problema della alienazione ci viene rappresentato in modo molto più suggestivo da ogni buon sociologo. Compito dell’artista è scoprire il problema mediante la forma artistica. Continua a leggere