Da Lukács a Burgum. La storia, il romanzo e la società

di Giansiro Ferrata

«Rinascita», n. 40, 9 ottobre 1965.


L’importanza dello studio del filosofo ungherese sta nell’energia chiarificatrice degli esempi, delle lezioni grandi e intense che il romanzo storico è venuto offrendo per decenni a vantaggio del nuovo realismo narrativo in genere e dei suoi capolavori in particolare. Ma il libro entra in crisi in quel centinaio di pagine dedicate al rapporto tra il romanzo storico e la crisi del romanzo borghese. L’esperienza letteraria nell’opera di un critico marxista americano.

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Realisti tedeschi del XIX secolo

di Paolo Chiarini

«Rinascita», n. 11, 13 marzo 1965.


Georg Lukács, Realisti tedeschi del XIX secolo, Trad. it. di Fausto Codino Milano. Feltrinelli, 1963 Pagg. 341, L 3.200.

Nell’arco della sua lunga e feconda attività di studioso è possibile individuare due tipi diversi di approccio — da parte di Lukács — alla storia della letteratura tedesca moderna. Da un lato la sintesi diacronica e (orizzontale), tendente a ritrovare le grandi linee dello sviluppo letterario in rapporto alla dialettica dell’intera società; dall’altro l’analisi sincronica e (verticale), in cui il singolo autore viene posto simultaneamente a confronto con lo spaccato completo di quella società, onde mettere a fuoco la mediazione concreta fra i due termini del discorso. Codesti approcci, tuttavia, sono complementari l’uno all’altro: giacché come il primo si presenta quale punto d’arrivo e riepilogo di una complessa serie d’indagini settoriali, così anche il secondo finisce col suggerire (da una particolare prospettiva, s’intende) un disegno storico unitario, che trascende positivamente la frammentarietà delle analisi.

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L’arte moderna e la grande arte

di György Lukács

«Rinascita-Il Contemporaneo» n. 9, 27 febbraio 1965


Il dialogo con György Lukács che qui riportiamo, si è svolto a Budapest il 7 febbraio 1965. Nel riferire le dichiarazioni rilasciate dalla studioso ungherese, usiamo volutamente una forma discorsiva. Dipende da due motivi. Anzitutto molte risposte hanno, per ammissione dello stesso Lukács, il valore di una prima approssimazione ai problemi che il marxismo si pone oggi in tutti i paesi e in tutti i partiti comunisti. È un contributo, cioè, che lo stesso Lukács considera provvisorio, almeno per quanto riguarda le formulazioni delle proposte da lui fornite. Inoltre dobbiamo avvertire i nostri lettori che alcune affermazioni troppo recise (come i giudizi sulle esperienze letterarie e artistiche contemporanee o la professione di fede «antimodernista») erano pronunciate non senza qualche sfumatura di ironia o di auto-ironia che diventa difficile far balenare in un testo scritto. Per riprodurre almeno in parte il tono di vivacità che il nostro interlocutore ha voluto usare durante il colloquio, abbiamo pensato di riferire le sue dichiarazioni nella forma più diretta.

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Astrazioni per spiegare la realtà: “Saggi sul realismo” di Lukács

di Francesco Cerutti

«La Fiera letteraria» V,  n. 37, settembre 1950.

[Il peggiore articolo mai scritto su L.]


Una gustosa presa in giro della metodologia marxista applicata alla critica letteraria, si legge, fra sparse annotazioni, in un breve scritto del Croce, pubblicato di recente, Cose nuove che son vecchie, ed è l’interpretazione, appunto condotta secondo i rigidi canoni del materialismo storico, d’un canto dantesco, quello di Paolo e Francesca, che per la singolarità dell’impostazione rivela, diciamolo pure con le parole del Croce, «profondità ed abissi inesplorati e sembianze affatto nuove che i critici borghesi non vedevano o non volevano vedere». La bonaria ironia del Croce, non di rado più efficace della sua stessa stringente dialettica, e come tale maggiormente temibile, è nota, epperò d’interpretazione e suggerimenti di tal natura è naturale si finisca con il sorrider divertiti. Ma il sorriso sparisce ben tosto e cede a dubbiosa incredulità, ad accorata meraviglia, quando quegl’argomenti s’odan ripetere e bandire ex cathedra, non più per celia ma con la serietà che si conviene a chi fa professione di critico e d’insegnante, e i problemi della letteratura e dell’arte, ha l’esplicito dovere di conoscere. Intendere, dichiarare altrui. E questo è il caso di György Lukács, professore di estetica nell’università di Budapest, autore di svariate monografie letterarie fra cui spicca un celebrato saggio sul Goethe tradotto anche in italiano, che ha raccolto in volume alcuni suoi studi sui realisti francesi e russi dell’ottocento, e la cui opera, tradotta non sappiamo da chi, è uscita da poco in veste italiana per iniziativa dell’Einaudi, infaticabile divulgatore di quel che chiamasi – con qualche ottimismo – il pensiero marxista contemporaneo.

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Lukács chi? Dicono di lui

I carteggi con Elsa Morante, le indicazioni politiche di Togliatti, i giudizi critici di Croce e Fortini e le citazioni lukacsiane negli scritti di Che Guevara. Queste e altre autorevoli voci, assieme a documenti e materiali poco noti, e riunite dal sapiente lavoro storico-critico di Lelio La Porta, ci aiutano a ripercorrere la vita e il pensiero di György Lukács (1885-1971), intellettuale marxista fra i più influenti del secolo scorso. Uno strumento puntuale e affidabile per conoscere la vita turbolenta e tempestosa del pensatore ungherese e il suo impianto storico-filosofico, ancora oggi saldo punto di riferimento per la scienza politica. Contributi di Nicola Abbagnano, Cesare Cases, Carlos Nelson Coutinho, Benedetto Croce, Franco Fortini, Antonio Gramsci, Ferdinando Gueli, Ernesto Che Guevara, Ágnes Heller, Antonino Infranca, Janos Kelemen, Guido Liguori, István Mészáros, Elsa Morante, Zoltán Mosóczi, Aldo Rosselli, Pier Aldo Rovatti, Palmiro Togliatti, Miklós Vásárhelyi.

Carteggio Lukács-Morante

Introduzione e note di Antonino Infranca

in Lukács chi? a cura di L. La Porta, Bordeaux, Roma 2021.


L’interesse di György Lukács per le opere della Morante è ben anteriore al periodo in cui i due si scambiarono le lettere che qui presentiamo. In una lettera dell’8 novembre 1957, indirizzata a Cesare Cases, Lukács chiedeva che gli fossero inviati i libri della Morante, tradotti in lingua a lui accessibile. È noto, infatti, che Lukács non parlasse affatto l’italiano e che lo leggesse, per altro, con grande difficoltà – come confessa in una delle lettere spedite alla Morante. Fu Cesare Cases che gli diede per la prima volta notizia delle opere di Elsa Morante; e Lukács lo invitò anche a scrivere saggi su di lei – lettera del 26 febbraio 1958. Il nome della Morante ricorre spesso nella corrispondenza tra Cases e Lukács. In un’altra lettera del 12 gennaio 1958, Cases riporta a Lukács l’emozione che la Morante provò, apprendendo dall’Unità che Lukács, durante il periodo di deportazione in Romania nel 1956-57, avrebbe trovato persino il tempo di leggere Menzogna e sortilegio.

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A proposito di letteratura e marxismo creativo

di György Lukács

da Lukács parla. Interviste (1963-1971), a cura di A. Infranca, Edizioni Punto Rosso, Milano 2019.

a cura di A. J. Liehm

Intervista rilasciata al giornalista cecoslovacco A. J. Liehm nel dicembre 1963 e pubblicata nel n. 3 della rivista Literární noviny, Praga, gennaio 1964. Qui ripubblichiamo la traduzione italiana apparsa nel n. 69 de Il contemporaneo, febbraio 1964, Roma. Non ci sono indicazioni del nome del traduttore. Si sono apportate alcune rare correzioni.


Lukács – Ecco, di un libro m’interessa sempre se ciò che in esso è detto, non sarebbe stato possibile raccontarlo nella medesima dimensione, diciamo, del reportage, se vi si pongono questioni oppure si risolvono problemi a un livello realmente artistico e non nelle dimensioni della sociologia. A tal riguardo sono un conservatore ed esigo che per tutto quanto vi è di importante nell’arte, si trovi una forma corrispondente. Questo vale da Omero sino a Kafka. Allo stesso modo, sono contro la forma senza contenuto e senza un problema poeticamente concreto, all’interno e viceversa. Per il resto vi sono altri mezzi e strumenti, per esempio la stampa. Credo che un buon lavoro sociologico sia più importante e, dal punto di vista della conoscenza, più redditizio, forse, dell’Homo Faber di Frisch. Affinché un ingegnere si renda conto della propria alienazione nella società capitalistica, non deve necessariamente avere un rapporto con la propria figlia. Questa è un’aggiunta poeticamente inorganica per il lettore modernista. Il problema della alienazione ci viene rappresentato in modo molto più suggestivo da ogni buon sociologo. Compito dell’artista è scoprire il problema mediante la forma artistica. Continua a leggere

La teoria lukacsiana del rispecchiamento estetico

di Béla Királyfalvi

da Lukács negli scritti di..., a c. di G. Oldrini, ISEDI, Mondadori, Milano 1979.


Béla Királyfalvi, di origine ungherese, insegna letteratura drammatica alla Wichita State University del Kansas.
Diamo qui di seguito la versione integrale di un capitolo, il IV («The Theory of Aesthetics Reflection»), del suo volume The Aesthetics of Gydrgy Lukacs, Princeton University Press, Princeton-London, 1975, pp. 54-70.

* * *

Una volta che Lukács comincia a dare contributi sistematici all’estetica marxista (dall’inizio degli anni trenta), la teoria del rispecchiamento estetico acquista un’importanza centrale nelle sue opere. Quattro decenni di scritti contengono innumerevoli esempi, illustrazioni, chiarificazioni, definizioni negative, analogie e riferimenti alle precedenti e contemporanee autorità in argomento, mai però l’ultima definizione conclusiva al modo, poniamo, di Aristotele. Il motivo è semplice: la dialettica materialistica non permette definizioni conclusive (che sono statiche), bensì soltanto «determinazioni» flessibili. La teoria continua a evolversi in lui fino all’Estetica (1963) e, mentre il concetto di rispecchiamento estetico è, nel suo nocciolo, semplice, la sua interrelazione con altri importanti principi estetici è notevolmente complessa. A causa della complessità del problema, quanto qui segue è un che di mutilo, benché speriamo non di distorto, senza il beneficio del contenuto dei tre capitoli successivi. Eppure è necessario, per amor di chiarezza, iniziare con una discussione relativamente isolata del concetto, perché la teoria del rispecchiamento estetico forma senza dubbio l’ossatura e la spina dorsale dell’intero sistema estetico di Lukács. Continua a leggere

Lukács dal dramma moderno al romanzo storico

di Guido Lucchini

«Strumenti critici» XXVI, n. 3, ottobre 2011


Quando nel 1965 Cases presentò al pubblico italiano Il romanzo storico, scritto negli anni 1936-37 durante l’esilio moscovita, con una breve introduzione1, non erano state ancora pubblicate opere fondamentali, da Storia e coscienza di classe, all’incompiuta Estetica di Heidelberg, al giovanile Dramma moderno, per non dire la voce “romanzo” della Literaturnaja enciklopedija (1935)2, che sarebbe uscita da Einaudi soltanto nel 1976, quando le fortune del pensatore e critico ungherese in Italia cominciavano a declinare. Opere tutte che modificavano sensibilmente l’itinerario intellettuale di Lukács. Infatti nel decennio 1950-60 era stato l’autore degli studi della maturità (da Goethe e il suo tempo a La distruzione della ragione, a Il giovane Hegel) a destare l’interesse in Italia e ad esercitare una certa influenza, con ogni probabilità sopravvalutata, sulla cultura di orientamento marxista. All’inizio degli anni Sessanta si cominciò a conoscere un altro Lukács, quello anteriore alla conversione al marxismo (nel 1962 usci la Teoria del romanzo, preceduta da una lunga introduzione di Lucien Goldmann, nel 1963 L’anima e le forme). Il romanzo storico, col suo intento dichiarato di leggere «il presente come storia», per usare un’espressione del libro divenuta famosa, completava là conoscenza del Lukács successivo alla svolta del 1930, piuttosto che contribuire a un riesame complessivo della sua opera. A distanza di oltre quarant’anni risultano però chiari non solo i grandi meriti del critico e filosofo ma anche i limiti, politici e culturali. Non accenno ai primi, perché d’immediata evidenza. Alla luce di quanto accaduto negli ultimi decenni mi sembra invece inevitabile soffermarmi, sia pure rapidamente, sul secondo punto. Se vi è un elemento di continuità fra il primo e il secondo Lukács, questo deve ravvisarsi anzitutto nella convinzione che i tratti più significativi e le contraddizioni di un’epoca si esprimono principalmente nella cultura. Con un ovvio corollario: gli intellettuali, che siano intesi come categoria dello spirito o della società non è in questo caso di primaria rilevanza, ne sono i legittimi depositari. Ora, nell’ultimo quarto del Novecento la figura dell’intellettuale è di fatto scomparsa. E ci sono fondati motivi per dubitare che il terreno della cultura sia ancora l’ambito privilegiato nel quale si esprimono le contraddizioni e le trasformazioni del presente. Continua a leggere

LINKS – Rivista di letteratura e cultura tedesca – Zeitschrift für deutsche Literatur- und Kulturwissenschaft

Si segnalano i seguenti articoli su Lukács dalla rivista

LINKS – Rivista di letteratura e cultura tedesca – 
Zeitschrift für deutsche Literatur- und Kulturwissenschaft
Anno XVI, 2016

links

* Georg Lukács, Brief an Hans Mayer vom 19. Juni 1961. Realismus-Debatte und Politik

* Mauro Ponzi, Die “Eingleisigkeit” der Dialektik. Ein Rückblick auf die Auffassung des Verhältnisses Kunst-Politik bei Brecht und Lukács

* Konstantin Baehrens, “[D]en ganzen menschen”. Lukács’ Humanistische Anthropologie und die literatur der Deutschen Klassik

* Matteo Gargani, “L’intero segreto della concezione critica”. Sul lavoro in Lukács e Marx