di Massimo Pini
«Quindici», anno I, n. 3, agosto 1967, pag. 5.
[All’introduzione seguiva la Prefazione del 1967 a Storia e coscienza di classe]
Nel 1923, presso la casa editrice Malik di Berlino, György Lukács pubblicava «Storia e coscienza di classe». Nel 1924 l’Internazionale comunista per bocca di Zinoviev condannava questo testo come «revisionista e idealista», assieme a «Marxismo e filosofia» (Sugar, 1966) di Karl Korsch. Per più di trent’anni «Storia e coscienza di classe» rimase introvabile e continuò a esercitare una influenza sotterranea attraverso le poche copie disponibili nelle biblioteche. Anche Kautsky e i socialdemocratici avevano condannato questo libro.
Nel 1957 uscì una traduzione francese presso le Editions de Minuit, a cura di Kostas Axelos, filosofo greco emigrato a Parigi in seguito a una condanna a morte e autore di alcune importanti opere di cui una – «Marx pensatore della tecnica» – tradotta in Italia, la traduzione francese venne pubblicata senza il consenso di Lukács, e potei appurare le reali ragioni dell’atteggiamento del filosofo ungherese quando mi recai la prima volta a incontrarlo a Budapest nel 1964. A suo avviso, infatti, la prefazione di Axelos alla edizione francese abusiva dava luogo a molti equivoci e in particolar modo alla interpretazione da dare alle sue «autocritiche». Naturalmente, Lukács disse, nel periodo staliniano egli aveva dovuto assumere un atteggiamento «tattico» per preservare fisicamente il suo pensiero. «Gli intellettuali borghesi si piegano al potere, e pretenderebbero che noi fossimo dei martiri». Tuttavia per Lukács fenomeni come lo stalinismo, la degenerazione burocratica, sono stati solo momenti nel lento e complesso sviluppo del marxismo. La sua continua permanenza all’interno del partito comunista ungherese è la dimostrazione che non vi è altra posizione da cui condurre la lotta; è la dimostrazione che non esiste un marxismo «autre».
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