Ideologia e ragione in un libro di Lukács

di Carlo Bordoni

 «Corriere della sera-La lettura», 15 maggio 2022


In Dialettica dell’irrazionalismo. Lukács tra nazismo e stalinismo (Ombre corte, pp. 135, € n), Enzo Traverso, docente alla Cornell University di Ithaca (New York), tratta di un pensatore dimenticato e del suo libro più controverso, La distruzione della ragione (1954). Un libro che sostiene tesi improponibili: difende il socialismo reale di Stalin e attribuisce la responsabilità dell’origine del nazismo a una serie di intellettuali, tra cui Nietzsche, accusati di irrazionalismo.

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Intervista sul congresso del P.C.U.S.

di György LukácsRenato Nicolai

«l’Unità», 5 maggio 1956


Lukács è fra gli uomini più attivi che io abbia conosciuto. Quando discutiamo, qui in Italia e altrove nell’occidente, dei significati retrospettivi e anticipatori del XX Congresso del PCUS, e quando ci preoccupiamo, con passione e sincerità, di capire quali esigenze nuove essi pongano, o quali ampliamenti essi richiedano del nuovo che già era nel nostro movimento, noi facevamo un onesto e meritevole sforzo di attualizzazione delle nostre idee e dei nostri metodi di lavoro e di lotta. Ebbene, se queste cose per noi sono di recente storia, per Lukács sono state preoccupazioni dei tempi nei quali si è svolta la sua vita di pensatore e di uomo. Numerose, particolarmente in certi anni, furono le critiche aspre e diffidenti, che riguardarono la sua posizione di filosofo e di combattente. Oggi queste ombre Lukács sembra essersele lasciate alle spalle. Parlando con lui si ha la conferma della forza che viene oggi alle nostre posizioni da un atteggiamento di coraggiosa verità, e si avverte quella potentissima sensazione di cose nuove che oggi è nel cuore di ogni operaio e di ogni socialista. Così, attraverso alcuni colloqui, abbiamo potuto porre a lui numerose domande per l’Unità e per Vie Nuove, sulle questioni cui già si è accennato, e sui problemi del realismo, ai quali Lukács ha dato le seguenti risposte:

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I luoghi comuni del realismo

di Vittorio Saltini

«L’Espresso», n. 3, 21 gennaio 1968.


Piero Raffa, Avanguardia e Realismo, Rizzoli, L 1.800.

Nel libro “Avanguardia e realismo), il saggio più ampio vuol essere una contrapposizione della mentalità di Brecht (secondo Raffa, realista, avanguardista e «nihilista») alla mentalità di Lukács, imputato in quanto umanista, «oggettivista» e retrogrado. Quest’antitesi di Brecht e Lukács diventa col tempo sempre meno accettabile. Ed è curioso che Raffa intenda criticare Lukács servendosi di frasi di Brecht come questa: «Quando l’arte rispecchia la vita, lo fa con specchi speciali. L’arte non diventa irreale quando altera le proporzioni». Giacché proprio per Lukács, che è stato il più duro critico di Zola e del naturalismo, l’arte davvero realistica altera appunto le proporzioni del quotidiano. Lukács ha la massima considerazione di scrittori come Swift e Hoffmann, e se fa obiezioni a Kafka non è certo perché Kafka “deforma”, ma per il particolare fondamento ideologico di tale deformazione. Ma dall’alto del suo neopositivismo, Raffa tratta l’«intrepido Don Chisciotte» Lukács con una sufficienza incosciente pari solo a quella con cui Pietro Citati ogni tanto lo liquida con due battute in qualcuna delle sue collezioni di aggettivi sul “Giorno”. Ma anche il tono di Raffa si fa notare: «Il fideismo da me individuato quale tratto caratteristico della mentalità di Lukács…».

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Socialismo e cultura in Ungheria

di György Aczél

«Rinascita», n. 22, 31 maggio 1968.


Oltre all’intervista di Lukács che pubblichiamo [Il marxismo nella coesistenza], il dibattito culturale ed ideologico in Ungheria ha registrato nelle ultime settimane una importante relazione di György Aczél, segretario del CC del POSU, davanti all’accademia politica del Partito. Ne diamo qui di seguito un resoconto delle parti più significative.

«La tesi della coesistenza pacifica — afferma tra l’altro Aczél — rappresenta una categoria politica e non una categoria ideologica che rispecchi una visione generale del mondo. Occorre dire e ribadire chiaramente — e far prevalere nella pratica — questo concetto fondamentale: fra l’ideologia del proletariato e l’ideologia della borghesia non esiste e non vi potrà mai essere coesistenza pacifica; fra marxismo ed antimarxismo non esiste e non vi potrà mai essere coesistenza pacifica».

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Tutti i dogmatici sono disfattisti

di György Lukács

«Rinascita», n. 13, 29 marzo1968. [L’intervista è stata rilasciata originariamente alla rivista culturale praghese Kulturní noviny e poi tradotta in italiano per «Rinascita», che non specifica però il nome dell’intervistatore]


D. Recentemente, compagno professore, lei ha espresso l’opinione che negli ultimi tempi si sta creando nel mondo una situazione molto favorevole al crescente influsso dell’ideologia marxista. Mentre nell’Occidente si diffonde l’interesse per il marxismo e per la sua positiva comprensione, noi non ci rendiamo nemmeno sufficientemente conto, lei ha detto, di quanto profondamente potremmo influire sull’evoluzione del mondo capitalistico, se fossimo al necessario livello per esempio nella filosofia, nella letteratura, nella cinematografia, nella musica ecc. Che cosa impedisce secondo il suo giudizio, come dunque dovremmo progredire, affinché in avvenire noi ci avviciniamo a quel necessario livello?

Lukács. Innanzitutto dobbiamo partire dal riconoscimento del fatto che per trent’anni il marxismo è ristagnato, che nel periodo in cui Stalin stabiliva che cosa era il marxismo e che cosa il marxismo non era, per anni e purtroppo generalmente furono riconosciute come scientifiche anche molte vere e proprie sciocchezze. Dapprima dunque deve essere di nuovo restaurato il marxismo. Quanto tempo questo processo richiederà, se si svolgerà lentamente oppure rapidamente, non possiamo giudicarlo in anticipo. Abbiamo oggettive possibilità di rinascita del marxismo, sono in gioco però anche condizioni soggettive. Dipenderà dal fatto se il partito promuoverà lo sviluppo del marxismo, oppure se gli porrà degli ostacoli. È una questione che non possiamo valutare in generale — è differente nei vari paesi. Noi supponiamo che, per esempio, i compagni cecoslovacchi stiano per l’appunto attraversando una svolta degna di rilievo, e diverse cose attestano che lo sviluppo del marxismo può avere in Cecoslovacchia condizioni più favorevoli sotto Dubček di quanto non siano state sotto Novotný.

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L’arte moderna e la grande arte

di György Lukács

«Rinascita-Il Contemporaneo» n. 9, 27 febbraio 1965


Il dialogo con György Lukács che qui riportiamo, si è svolto a Budapest il 7 febbraio 1965. Nel riferire le dichiarazioni rilasciate dalla studioso ungherese, usiamo volutamente una forma discorsiva. Dipende da due motivi. Anzitutto molte risposte hanno, per ammissione dello stesso Lukács, il valore di una prima approssimazione ai problemi che il marxismo si pone oggi in tutti i paesi e in tutti i partiti comunisti. È un contributo, cioè, che lo stesso Lukács considera provvisorio, almeno per quanto riguarda le formulazioni delle proposte da lui fornite. Inoltre dobbiamo avvertire i nostri lettori che alcune affermazioni troppo recise (come i giudizi sulle esperienze letterarie e artistiche contemporanee o la professione di fede «antimodernista») erano pronunciate non senza qualche sfumatura di ironia o di auto-ironia che diventa difficile far balenare in un testo scritto. Per riprodurre almeno in parte il tono di vivacità che il nostro interlocutore ha voluto usare durante il colloquio, abbiamo pensato di riferire le sue dichiarazioni nella forma più diretta.

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Introduzione al carteggio Lukács-Anders

di Devis Colombo

da Vie traverse. Lukács e Anders a confronto, a cura di A. Meccariello e A. Infranca, Asterios, Trieste, 2019.


Pubblichiamo qui per la prima volta la traduzione italiana del carteggio fra due rappresentativi esponenti della critica contemporanea all’estraniazione, Günther Anders e György Lukács1. Infatti, sebbene i due pensatori siano caratterizzati da una prospettiva filosofica differente – il primo contribuisce a coniugare l’antropologia filosofica con il dibattito sulla tecnocrazia, mentre il secondo pone le solide basi di un “marxismo occidentale” –, nelle lettere fra loro intercorse a fasi intermittenti, tra il 1964 e il 1971, concordano nel rilevare una significativa affinità teorica nella concezione dell’estraniazione e nelle modalità con cui condurre la battaglia ideologica e pratica volta a un suo superamento. Se il dialogo fra Anders e Lukács su quest’argomento non ha potuto abbandonare la fase delle considerazioni introduttive – restando comunque il più significativo aspetto del loro carteggio –, ciò è accaduto perché l’approfondito confronto sull’argomento che si erano ripromessi di svolgere in prima persona non si è mai potuto verificare per via delle vicissitudini personali dei due autori.

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Dialettica dello stalinismo

di Enzo Traverso

da Dialettica dell’irrazionalismo. Lukács tra nazismo e stalinismo, Ombre Corte, Verona 2022


L’unica alternativa efficace all’irrazionalismo, spiega Lukács, era il marxismo, ma solo quello ufficiale, il mar­xismo-leninismo nella sua versione sovietica (nel 1952, egli non osava citare un solo marxista “eretico”). Non presta attenzione a Ernst Bloch e neppure a Karl Korsch, ma mette in guardia nei confronti di Herbert Marcuse, di cui cita soltanto la tesi, L’ontologia di Hegel e la fon­dazione di una teoria della storicità (1932), un’opera gio­vanile dagli accenti fortemente heideggeriani1. Un libro come Ragione e rivoluzione (1941), che Marcuse scrisse in difesa di Hegel contro il fascismo, è semplicemente ignorato. Allo stesso modo viene trascurata la tradizione del liberalismo neokantiano, in particolare un monumen­to filosofico alla ragione come La filosofia dell’illumini­smo (1932) di Ernst Cassirer. La distruzione della ragione si conclude tuttavia con un ardente elogio di Heinrich e Thomas Mann, due scrittori “borghesi” che non ave­vano ceduto al “decadentismo pessimistico-nichilistico dei loro contemporanei” ed erano stati capaci, con co­raggio e determinazione, di “fare i conti senza pregiudizi col socialismo, con la grande forza progressiva del nostro tempo, con l’avvenire”2. Essi appartenevano a una lun­ga tradizione di scrittori “borghesi” che avevano fatto la scelta del progresso e dell’umanesimo, contro le potenze dell’oscurantismo, una tradizione alla quale appartenevano figure come Émile Zola, William Morris, Anatole France, Romain Rolland, George Bernard Shaw e Theodore Dreiser.

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Introduzione (a Dialettica dell’irrazionalismo)

di Enzo Traverso

da Dialettica dell’irrazionalismo. Lukács tra nazismo e stalinismo, Ombre Corte, Verona 2022


Sono molte le ragioni che suggeriscono oggi, a settant’anni dalla sua prima pubblicazione, una rilettura di La distruzione della ragione di Lukács. Per i filologi e gli storici della filosofia sono ovvie: si tratta di riscoprire una delle opere più ambiziose di uno dei grandi pensatori del Novecento. Ce ne sono altre, altrettanto ovvie, che derivano dall’interesse intrinseco di questo libro, profondamente contestabile ma ricco di idee. Tutti riconoscono che dei legittimisti fanatici come Joseph de Maistre e Donoso Cortés, un filosofo fascista come Giovanni Gentile, dei pensatori conservatori compromessi col nazismo come Martin Heidegger e Carl Schmitt, meritano di essere letti e meditati. Perché non dovremmo riservare un analogo trattamento a Lukács? Si possono ricavare delle lezioni utili dalle opere dei cattivi maestri, ma per questo bisogna saperli leggere, non per seguirne l’insegnamento, ma andando oltre la semplice condanna che nasce da un’interpretazione angusta e sterile. L’apologia dello stalinismo che permea La distruzione della ragione, pubblicata a Berlino per i tipi di Aufbau Verlag nel 1953, appare oggi indegna e colpevole, ma va spiegata e compresa nei suoi significati. Non per giustificarla o “perdonarla” come faceva Hannah Arendt nel 1970, rievocando i trascorsi nazisti di Heidegger1– ma perché non è aneddotica; essa getta luce su una tappa fondamentale del percorso del suo autore e anche, al di là di Lukács, del marxismo e della cultura di sinistra durante gli anni più bui della guerra fredda. Bisogna insomma, per usa­re la formula di Leo Strauss, imparare a “leggere tra le righe”2, interpretando un’opera come La distruzione della ragione non soltanto come un manifesto ma anche come un sintomo. È questo l’esercizio che cercherò di compie­re nelle pagine che seguono.

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Film, ideologia e culto della personalità

di György Lukács

[Intervista realizzata da Guido Aristarco a Lukács pubblicata su “Cinema nuovo”, n. 188, luglio-agosto 1967].


Abbiamo rivolto a György Lukács le seguenti domande:

1. In varie circostanze, e anche di recente, lei si è riferito con insistenza ai problemi talora angosciosi che il culto della personalità ha proposto al mondo socialista. Non ritiene che nella critica a tale culto ci sia stata e ci sia tuttora una deformazione strumentale e che questa accezione abbia servito da copertura a forme revisionistiche e di sostanziale sfiducia nella metodologia marxiana?

2. Anche noi, con lei, riteniamo che la situazione culturale così come si presenta oggi, esiga una coerente, integrale, razionalmente fiduciosa ricerca marxiana. A cosa attribuire il diffondersi, fra strati intellettuali della “sinistra” di questa sorta di sfiducia nel marxismo?

3. Ci sembra che il cinema rifletta e registri abbastanza esplicitamente (in ispecie attraverso opere di giovani e delle cosiddette “nuove ondate”) tale crisi. Non crede che questa teorizzazione del disimpegno costituisca un appoggio – non sempre disinteressato – offerto alla cultura reazionaria dall’interno dello schieramento di sinistra?

4. Dei film che ella ha avuto occasione di vedere di recente, quali le sembrano più significativi nell’ambito di una indicazione rinunciataria e quali di una indicazione di prospettiva?

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