Quando Lukács si ribellò ai mastini del bolscevismo

di Antonio Carioti

«Corriere della sera», 8 luglio 2007


Non si arrese subito György (o Georg, alla tedesca) Lukács. Quando il suo libro Storia e coscienza di classe, uscito nel 1923, fu stroncato dai cani da guardia dell’ortodossia sovietica, che lo accusavano di «soggettivismo», il filosofo marxista ungherese rispose per le rime in un opuscolo dal titolo Codismo e dialettica. Ma quel testo non fu pubblicato e lo stesso autore preferì relegarlo nell’oblio. Solo settant’anni dopo, crollata l’Urss, è stato ritrovato negli archivi sovietici. Ed ora vede la luce in Italia, con il titolo Coscienza di classe e storia (pagine 166, € 22), presso le Edizioni Alegre, a cura di Marco Maurizi, con una postfazione dello studioso sloveno Slavoj Žižek.

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Lukács non piace ai dogmatici

di Vittorio Saltini

«L’Espresso» n. 25, 23 giugno 1968


Marzio Vacatello, Lukács, La Nuova Italia, L. 1.500.

È questo il primo libro scritto in Italia su Lukács. Mi dispiace di dover dire che non è un libro soddisfacente. L’argomento era troppo impegnativo, e l’autore (malgrado le sue indubbie capacità) troppo giovane per affrontarlo in modo adeguato. E poi, alcuni di questi nostri giovani marxisti nascono alquanto dogmatici. Così essi rifiutano anche Lukács (si veda pure Cesare Pianciola nella nota al libro “Conversazioni con Lukács”, edito da De Donato) non perché il suo pensiero non trovi conferme nella realtà (di questo non si occupano), ma perché non coincide col pensiero di Marx. Dall’alto del loro culto, questi guardiani d’una tomba vuota trattano con grande sufficienza i marxisti non ortodossi come Lukács, della cui «superficialità» Vacatello si lamenta più d’una volta (cioè Lukács risolve con nettezza certe sublimi controversie della scolastica marxista). Ma Lukács sarebbe un ideologo e Marx invece è «scienza». Questi marxisti dogmatici si richiamano apoditticamente alla «scienza marxiana», non già a questa o quella proposizione verificata, scientifica. È vero che un loro maestro, Althusser, indica a volte come marchio e fondamento di scientificità alcune proposizioni di Marx, come quella (la citavo la volta scorsa) secondo cui in ogni società una «determinata produzione» colora di sé tutti gli altri fenomeni sociali. Ma ad esempio questa è, per l’appunto, una proposizione né vera né falsa: è solo un’indicazione di lavoro. La sua validità può essere provata soltanto dalla sua eventuale conferma in singole analisi storico-sociali: che è proprio ciò che questi marxisti si guardano bene dal saper tare (mentre lo ha fatto Lukács!). Gli ortodossi sanno che il mondo deve funzionare conforme alla citazione, e tanto basta. Il loro richiamo a Marx è un atto di fede: è metafisica. Peccato.

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L’arte moderna e la grande arte

di György Lukács

«Rinascita-Il Contemporaneo» n. 9, 27 febbraio 1965


Il dialogo con György Lukács che qui riportiamo, si è svolto a Budapest il 7 febbraio 1965. Nel riferire le dichiarazioni rilasciate dalla studioso ungherese, usiamo volutamente una forma discorsiva. Dipende da due motivi. Anzitutto molte risposte hanno, per ammissione dello stesso Lukács, il valore di una prima approssimazione ai problemi che il marxismo si pone oggi in tutti i paesi e in tutti i partiti comunisti. È un contributo, cioè, che lo stesso Lukács considera provvisorio, almeno per quanto riguarda le formulazioni delle proposte da lui fornite. Inoltre dobbiamo avvertire i nostri lettori che alcune affermazioni troppo recise (come i giudizi sulle esperienze letterarie e artistiche contemporanee o la professione di fede «antimodernista») erano pronunciate non senza qualche sfumatura di ironia o di auto-ironia che diventa difficile far balenare in un testo scritto. Per riprodurre almeno in parte il tono di vivacità che il nostro interlocutore ha voluto usare durante il colloquio, abbiamo pensato di riferire le sue dichiarazioni nella forma più diretta.

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L’autocritica di Lukács

di Massimo Pini

«Quindici», anno I, n. 3, agosto 1967, pag. 5.

[All’introduzione seguiva la Prefazione del 1967 a Storia e coscienza di classe]


Nel 1923, presso la casa editrice Malik di Berlino, György Lukács pubblicava «Storia e coscienza di classe». Nel 1924 l’Internazionale comunista per bocca di Zinoviev condannava questo testo come «revisionista e idealista», assieme a «Marxismo e filosofia» (Sugar, 1966) di Karl Korsch. Per più di trent’anni «Storia e coscienza di classe» rimase introvabile e continuò a esercitare una influenza sotterranea attraverso le poche copie disponibili nelle biblioteche. Anche Kautsky e i socialdemocratici avevano condannato questo libro.

Nel 1957 uscì una traduzione francese presso le Editions de Minuit, a cura di Kostas Axelos, filosofo greco emigrato a Parigi in seguito a una condanna a morte e autore di alcune importanti opere di cui una – «Marx pensatore della tecnica» – tradotta in Italia, la traduzione francese venne pubblicata senza il consenso di Lukács, e potei appurare le reali ragioni dell’atteggiamento del filosofo ungherese quando mi recai la prima volta a incontrarlo a Budapest nel 1964. A suo avviso, infatti, la prefazione di Axelos alla edizione francese abusiva dava luogo a molti equivoci e in particolar modo alla interpretazione da dare alle sue «autocritiche». Naturalmente, Lukács disse, nel periodo staliniano egli aveva dovuto assumere un atteggiamento «tattico» per preservare fisicamente il suo pensiero. «Gli intellettuali borghesi si piegano al potere, e pretenderebbero che noi fossimo dei martiri». Tuttavia per Lukács fenomeni come lo stalinismo, la degenerazione burocratica, sono stati solo momenti nel lento e complesso sviluppo del marxismo. La sua continua permanenza all’interno del partito comunista ungherese è la dimostrazione che non vi è altra posizione da cui condurre la lotta; è la dimostrazione che non esiste un marxismo «autre».

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Lukács tra ideologia e utopia

di Carlo Finale

Tempo presente, anno IX, n.6, giugno 1964


Il 12 luglio 1921, dopo tre settimane di riunioni, si scioglieva il III congresso della III Internazionale; il 23 luglio l’Esecutivo e il Praesidium riu­niti discutevano la cosiddetta «questione ungherese».

La rivista Kommunismus di Vienna an­dava pubblicando dal 1920 una serie di ar­ticoli e saggi che suscitavano sempre più gravi perplessità nei dirigenti della III Internazionale. La decisione che Esecutivo e Praesidium presero fu drastica: sospen­dere la pubblicazione della rivista. Il 1° settembre 1921 usciva l’ultimo numero della pubblicazione1. Collaboratori della rivista erano, tra gli altri, György Lukács, Josef Révay, S. Fogarasi, Ernst Bettel­heim, tutti fuggiti dall’Ungheria dopo la caduta della Repubblica sovietico-magiara e rifugiatisi a Vienna, dove nel 1920 ave­vano creato, appunto con la rivista Kom­munismus, un centro di animazione ideo­logica agile e spregiudicato, a tal punto da sfiorare l’eresia. Non era un puro caso che Kommunismus ospitasse scritti di Anton Pannekoek e Henriette Roland-Holst, di due cioè degli ideologi della cosiddetta scuola marxista olandese e del movimento di opposizione operaia sconfessato dalla III Internazionale2. Continua a leggere

Lukács chi? Dicono di lui

I carteggi con Elsa Morante, le indicazioni politiche di Togliatti, i giudizi critici di Croce e Fortini e le citazioni lukacsiane negli scritti di Che Guevara. Queste e altre autorevoli voci, assieme a documenti e materiali poco noti, e riunite dal sapiente lavoro storico-critico di Lelio La Porta, ci aiutano a ripercorrere la vita e il pensiero di György Lukács (1885-1971), intellettuale marxista fra i più influenti del secolo scorso. Uno strumento puntuale e affidabile per conoscere la vita turbolenta e tempestosa del pensatore ungherese e il suo impianto storico-filosofico, ancora oggi saldo punto di riferimento per la scienza politica. Contributi di Nicola Abbagnano, Cesare Cases, Carlos Nelson Coutinho, Benedetto Croce, Franco Fortini, Antonio Gramsci, Ferdinando Gueli, Ernesto Che Guevara, Ágnes Heller, Antonino Infranca, Janos Kelemen, Guido Liguori, István Mészáros, Elsa Morante, Zoltán Mosóczi, Aldo Rosselli, Pier Aldo Rovatti, Palmiro Togliatti, Miklós Vásárhelyi.

Nel corso di una tavola rotonda – Franco Fortini

di Franco Fortini

Aa.Vv., Filosofia e prassi. Attualità e rilettura critica di György Lukács e Ernst Bloch, a cura di R. Musillami, Diffusioni ’84, Milano 1989 [ora in Lukács chi? a cura di L. La Porta, Bordeaux, Roma 2021].


Non vorrei correre il rischio che hanno corso i miei due amici1: di parlare di tutto (Lukács) e in una certa misura di nulla. Di nulla, perché hanno fatto riferimento alla relazione di Preve che io non conosco. E poi c’è un’altra ragione, strettamente personale, alla quale bisogna accennare e cioè il fatto che sono quarant’anni che indirettamente discuto con Lukács tramite Cases. Quando Cases nelle pagine molto divertenti, molto belle d’introduzione alla sua raccolta degli scritti lukacsiani, dice che gli rimarrà sulle spalle in eterno la fama di essere stato l’introduttore di Lukács in Italia – cosa che egli nega – devo dire che perlomeno per me questo è vero. Negli stessi anni, negli stessi mesi in cui Cases frequentava Lucien Goldman a Zurigo, in quella stessa Zurigo, dove ho conosciuto Cases, mi aggiravo senza avere la possibilità, che Cases invece aveva, di leggere opere preziose come Storia e coscienza di classe perché non leggevo il tedesco; ma è per tramite suo e tramite l’amico Renato Solmi che siamo venuti a contatto con quel magico libretto. Non so donde provenisse quella copia, so che Solmi e Cases la usavano come se fosse un libro sacro; insomma era impressionante il tipo di partecipazione e di magia che emanava questa copia di Storia e coscienza di classe che qualche anno più tardi girava per Milano.

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Nel corso di una tavola rotonda – Cesare Cases

di Cesare Cases

in Aa.Vv., Filosofia e prassi. Attualità e rilettura critica di György Lukács e Ernst Bloch, a cura di R. Musillami, Diffusioni ’84, Milano 1989 [ora in Lukács chi? a cura di L. La Porta, Bordeaux, Roma 2021].


Mi associo a quello che ha detto Luperini. Mi sembra che abbia fatto una buona disamina di quello che è stato il ruolo di Lukács in Italia, distinguendo correttamente certi periodi, facendo anche vedere quali erano le fonti e le ragioni dell’opposizione di buona parte del gruppo dirigente del Partito comunista italiano e dell’intellighenzia italiana a Lukács.

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[Gramsci su Lukács]

di Antonio Gramsci

in Quaderni del Carcere, a cura di V. Gerratana Einaudi, Torino 1975 [ora in Lukács chi? a cura di L. La Porta, Bordeaux, Roma 2021].


Q 4, 43. L’«obbiettività del reale» e il Prof. Lukacz È da studiare la posizione del prof. Lukacz verso il materialismo storico. Il Lukacz (conosco le sue teorie molto vagamente) credo affermi che si può parlare di dialettica solo per la storia degli uomini e non per la natura. Può aver torto e può aver ragione. Se la sua affermazione presuppone un dualismo tra l’uomo e la natura egli ha torto perché cade in una concezione della natura propria della religione e anche propria dell’idealismo, che realmente non riesce a unificare e mettere in rapporto l’uomo e la natura altro che verbalmente. Ma se la storia umana è anche storia della natura, attraverso la storia della scienza, come la dialettica può essere staccata dalla natura? Penso che il Lukacz, scontento delle teorie del Saggio popolare, sia caduto nell’errore opposto: ogni conversione e identificazione del materialismo storico nel materialismo volgare non può che determinare l’errore opposto, la conversione del materialismo storico nell’idealismo o addirittura nella religione.

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Lukács, György

di Carlos Nelson Coutinho

in G. Liguori, P. Voza (a cura di), Dizionario gramsciano. 1926-1937, Carocci, Roma 2009 [ora in Lukács chi? a cura di L. La Porta, Bordeaux, Roma 2021].


Gramsci parla di Lukács (che scrive «Lukacz») solo una volta nei Quaderni. Lo fa in un Testo A (Q 4, 43, 468) ripreso, senza modifiche essenziali nella parte che riguarda Lukács, nel rispettivo Testo C (Q11, 34, 1449). Gramsci si riferisce al famoso libro Storia e coscienza di classe, pubblicato nel 1923 e duramente condannato dall’ortodossia sia della Seconda che della Terza Internazionale. È quasi certo che Gramsci non conoscesse direttamente il libro. In effetti, nel menzionato Testo A, dice esplicitamente che conosce «le sue teorie molto vagamente» e in ambedue le stesure esprime i suoi commenti in un modo cautamente dubitativo: Lukács «può aver torto e può aver ragione». Gramsci probabilmente conosceva il libro solo attraverso la dura condanna che esso aveva subito da parte della Terza Internazionale, come sembra confermato dal fatto che si riferisce al «Prof. Lukacz», esattamente il modo ironico con il quale quest’ultimo veniva nominato dai suoi accusatori (Q 4, 43, 469). La menzione di Lukács è fatta nel contesto di una discussione sulla nozione di “oggettività” e in polemica con il Saggio popolare di Bucharin. Gramsci afferma nel menzionato Testo C: «Pare che il Lukacz affermi che si può parlare di dialettica solo per la storia degli uomini e non per la natura. Può aver torto e può aver ragione. Se la sua affermazione presuppone un dualismo tra la natura e l’uomo egli ha torto. Ma se la storia umana deve concepirsi anche come storia della natura (anche attraverso la storia della scienza) come la dialettica può essere staccata dalla natura? Forse il Lukacz, per reazione alle teorie barocche del Saggio popolare, è caduto nell’errore opposto, in una forma di idealismo» (Q11,34, 1449). Quando ammette dunque che Lukács da un certo punto di vista possa aver ragione, Gramsci lo fa per prendere le distanze dalle posizioni di Bucharin.