di Carlos Nelson Coutinho
in G. Liguori, P. Voza (a cura di), Dizionario gramsciano. 1926-1937, Carocci, Roma 2009 [ora in Lukács chi? a cura di L. La Porta, Bordeaux, Roma 2021].
Gramsci parla di Lukács (che scrive «Lukacz») solo una volta nei Quaderni. Lo fa in un Testo A (Q 4, 43, 468) ripreso, senza modifiche essenziali nella parte che riguarda Lukács, nel rispettivo Testo C (Q11, 34, 1449). Gramsci si riferisce al famoso libro Storia e coscienza di classe, pubblicato nel 1923 e duramente condannato dall’ortodossia sia della Seconda che della Terza Internazionale. È quasi certo che Gramsci non conoscesse direttamente il libro. In effetti, nel menzionato Testo A, dice esplicitamente che conosce «le sue teorie molto vagamente» e in ambedue le stesure esprime i suoi commenti in un modo cautamente dubitativo: Lukács «può aver torto e può aver ragione». Gramsci probabilmente conosceva il libro solo attraverso la dura condanna che esso aveva subito da parte della Terza Internazionale, come sembra confermato dal fatto che si riferisce al «Prof. Lukacz», esattamente il modo ironico con il quale quest’ultimo veniva nominato dai suoi accusatori (Q 4, 43, 469). La menzione di Lukács è fatta nel contesto di una discussione sulla nozione di “oggettività” e in polemica con il Saggio popolare di Bucharin. Gramsci afferma nel menzionato Testo C: «Pare che il Lukacz affermi che si può parlare di dialettica solo per la storia degli uomini e non per la natura. Può aver torto e può aver ragione. Se la sua affermazione presuppone un dualismo tra la natura e l’uomo egli ha torto. Ma se la storia umana deve concepirsi anche come storia della natura (anche attraverso la storia della scienza) come la dialettica può essere staccata dalla natura? Forse il Lukacz, per reazione alle teorie barocche del Saggio popolare, è caduto nell’errore opposto, in una forma di idealismo» (Q11,34, 1449). Quando ammette dunque che Lukács da un certo punto di vista possa aver ragione, Gramsci lo fa per prendere le distanze dalle posizioni di Bucharin.